Abitazione di Mara, Bologna
Mara agì sulla leva del Thorens e la puntina si posò lentamente sul disco, accarezzando i solchi in vinile.
Un leggero fruscio si amplificò nella stanza come una folata di vento. Mara si sentì rinfrancata dal quel rumore di fondo – un fattore di disturbo fastidiosamente piacevole – che precedeva sempre l’inizio di ogni brano.
Attese.
Le note basse del pianoforte presero il sopravvento sul fruscio e iniziarono ad accarezzare una tonalità minore.
Il pianista, dopo quell’introduzione, attaccò con una linea melodica scandita da un tempo lento.
Il brano iniziò a delinearsi.
Mara si ricordò che la tonalità del “Concerto nello stile italiano” di Bach era in fa maggiore, mentre l’Andante del secondo movimento, che ora stava ascoltando, era stato scritto in re minore. Si sedette sul divano e chiuse gli occhi, rammentando quando, da adolescente, suonava quel pezzo, e si pentì di avere smesso di studiare pianoforte. Diede la colpa al suo ragazzo di allora e giunse alla conclusione che in ogni errore di una donna ci fosse sempre la responsabilità di un uomo.
Un uomo che non ti capisce abbastanza, pensò.
Glenn Gould, intanto, continuava a suonare l’Andante. Mara improvvisamente pensò che a nessuna donna pianista sarebbe stato permesso di suonare in un modo così eccentrico.
Questioni di convenzioni sociali.
Per un attimo odiò il genere maschile. Le vennero in mente alla rinfusa alcune famose donne pianiste, e si sentì molto orgogliosa di non essere un maschio.
Clara Schumann, Maria Tipo, Marta Argerich, Maria João Pires…
Forse Robert Schumann è morto pazzo – pensò – perché era consapevole che la sua Clara suonasse meglio di lui… Non sarebbe una cosa da approfondire? – si chiese. – Se avessi continuato a suonare il pianoforte sarei riuscita a essere unica? O sarei diventata una come tante?
Si rese conto di essersi fatta una domanda inutile e cercò di pensare ad altro.
L’andante finì e ci fu una breve pausa. Il disco tornò a gracchiare e Mara si preparò al “Presto”.
Glenn attaccò in modo deciso, tornando al fa maggiore, con una cadenza veloce e aggressiva, in netto contrasto con la lentezza estenuante dell’andante precedente.
Mara aprì gli occhi, cercando di scacciare i pensieri deprimenti che l’accompagnavano negli ultimi tempi. Guardò fuori dalla finestra e notò che la giornata stava finendo. Le rimaneva poco tempo per ascoltare Bach. Fra un’ora sarebbe arrivato il suo ragazzo. A lui piaceva mangiare subito, per avere più tempo per fare qualcosa dopo. Per lui, studente universitario mantenuto dalla famiglia, era un grande privilegio essere fidanzato con una ragazza che aveva un lavoro e una casa. Per il suo ragazzo, le sere da lei significavano intimità, giocare a fare i grandi, e fare sesso dove capitava. Sul letto, sul divano o sul tappeto del salotto.
Mara pensò che ormai l’avevano fatto dappertutto. Almeno quasi. Rimaneva solo il bagno.
Rise, pensando alla fissazione di una sua collega di chirurgia seconda. Secondo lei, scopare sulla lavatrice con la centrifuga in azione era uno sballo. Un’esperienza da fare contorcere l’intestino.
Poi pensò che non possedeva una lavatrice e che al suo ragazzo non piaceva neppure Bach. Provò per un attimo l’ennesimo sentimento di avversione per il genere maschile – le capitava spesso, ultimamente, e non sapeva cosa farci – e pensò che il giorno seguente sarebbe iniziato il suo turno di notte.
Per una settimana avrebbe lavorato nella stagione dei vampiri e degli scarafaggi.
In quel momento odiò anche il suo ospedale e il reparto in cui era stata recentemente trasferita.
I vampiri e gli scarafaggi invece le risultarono decisamente simpatici.
Poi ricordò che aspettava una telefonata importante. Loro erano precisi e lei doveva farsi trovare all’ora stabilita.
Aveva iniziato quello strano incarico e non poteva più tirarsi indietro.
Mara non riusciva a capire perché aveva accettato. Forse per i soldi. Anche se ormai era troppo tardi per domande inutili.
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