Per la prima volta nella storia della letteratura il rapporto con la macchina non è visto in un’accezione negativa, ineluttabile, da evitare. Il Cyberpunk delinea una nuova relazione con

I protagonisti delle loro storie, a cominciare dallo stesso Case di Neuromante, sono prostitute, biscazzieri, punk, trafficanti, ladri, pirati informatici, balordi, senza un lavoro e desiderosi solo di sperimentare nuove tecnologie o droghe che producano una effimera felicità. In altre parole, sono degli emarginati, eroi solitari, costretti a combattere contro le multinazionali senza scrupoli, semplicemente per sopravvivere. Fanno tutti parte di un gioco che, loro malgrado, li vede coinvolti fino alle estreme conseguenze.
Senza dimenticare la riflessione sullo spazio virtuale in cui si muovono gli eroi e gli antieroi del cyberpunk. Cyberspace, infatti, è il termine coniato da Gibson - prima nel suo racconto La notte che bruciammo Chrome e poi reso popolare con Neuromante – per designare lo spazio virtuale creato dalla connessione di migliaia di computer, disseminati in ogni dove sul nostro pianeta. Se per realtà virtuale s’intende quella branca dell'informatica tesa a costruire una macchina che simuli stimoli sensoriali, visivi e sonori, in modo da dare all'utente la sensazione di essere realmente in uno spazio differente da quello fisico in cui si trova, allora anche qui, lo scrittore americano ha anticipato la realtà. I primi studi sulla realtà virtuale, infatti, risalgono alla fine degli anni Sessanta, ma è solo negli anni Novanta che questo nuovo tipo di tecnologia ha trovato applicazioni anche pratiche, dalla medicina all’industria dei videogiochi.
Sul piano strettamente letterario, dunque, il movimento Cyberpunk è stato l’ultimo a rinnovare, a elargire una boccata d’ossigeno a tutta la fantascienza, costituendo di fatto un vero e proprio fenomeno culturale che ha messo radici anche nel sociale e in altri mass-media.
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