Una razza antichissima che non intende dividere l'energia a disposizione nell'universo con altre civiltà, e pertanto si è votata alla distruzione delle altre intelligenze del cosmo, questo il presupposto del grande affresco di Arthur C. Clarke e Stephen Baxter dedicato alla lotta dell'umanità contro i Primogeniti.
L'occhio dell'universo è il romanzo che dovrebbe concludere la Trilogia del Tempo, raccogliendo le fila lasciate in sospeso nei precedenti capitoli e svelando i misteri irrisolti.
La storia si apre con il risveglio di Bisesa Dutt, valorosa soldatessa britannica nonché protagonista dei due episodi precedenti, da un sonno criogenico durato 19 anni.
E' stata la figlia Myra, spinta da una situazione di emergenza, a risvegliare Bisesa: nello spazio profondo è stata rilevata una sonda aliena diretta verso la Terra, una bomba quantica in grado di gettar fuori dall'universo un intero pianeta.
Assieme al giovane astronauta Alexei Carel le due donne fuggono dalla Terra attraverso un ascensore spaziale, dirette alla volta di Marte, dove è stato ritrovato un Occhio dei Primogeniti, imprigionato dagli antichi e ormai scomparsi marziani.
Ma questa è solo la prima parte del lungo viaggio di Bisesa, che da Marte si ritrova su Mir, il pianeta costruito prelevando innumerevoli schegge temporali dai Primogeniti, dove il giovane astronomo Abdikadir la attende.
A Babilonia, capitale dell'impero che Alessandro Magno intende estendere su tutto il pianeta, una notizia sorprendenti attende Bisesa: in questo universo tascabile il pianeta Marte è blu e abitato.
Questo e la scoperta dell'Occhio imprigionato permettono di capire che in passato i misteriosi Primogeniti hanno già provocato l'estinzione di una razza intelligente nel sistema solare, gli sfortunati marziani non sono riusciti a evitare di essere spazzati via, e forse anche per la razza umana è arrivato il momento della fine.
Contrariamente alle mie abitudini di seguito parlerò di particolari importanti della trama e del finale della storia, per cui chi fosse intenzionato a leggere il romanzo dovrebbe terminare adesso la lettura di questa recensione.
Dal terzo volume di una trilogia ci si apetterebbe una qualche sorta di conclusione, piacevole, sorprendente o scontata e deludente che sia, ma non è il caso di L'occhio dell'universo.
Il romanzo non fa altro che replicare situazioni viste nei primi due volumi, la Terra sotto attacco e la situazione di Mir, senza però dare una risposta ai quesiti aperti, anzi aggiungendone di nuovi.
Il finale del romanzo vede infatti la bomba Q distruggere Marte, il Marte del nostro universo, sacrificato per salvare la Terra; Myra resta sul pianeta durante il collasso, ma non muore: si riunisce a Bisesa in un posto sconosciuto.
Figlia e madre sono state trasportate lì dagli Ultimi Nati, esseri di cui non sappiamo nulla, solo che sono in guerra con i Primogeniti.
Va da sé che la trilogia si trasforma de facto in una quadrilogia... come minimo, ma perché porsi dei limiti, sugli Ultimi Nati almeno altri tre romanzi ci possono stare.
Ma c'è un problema ben maggiore del prolungarsi della serie: la progressiva perdita di interesse della stessa: il primo romanzo era una vicenda sorretta da un'idea grandiosa, il secondo una passabile storia catastrofica, mentre questo ultimo, o meglio penultimo, capitolo una delusione totale.
Paradossalmente risultava più credibile la costruzione di un miniuniverso contenente un pianeta assemblato con migliaia di "schegge temporali", visto nel primo romanzo, che il sistema solare dove si svolge l'azione di L'occhio dell'universo.
A pochi decenni da una catastrofe che ha spazzato via un miliardo di persone e causato distruzioni immani ci si aspetterebbe di trovare l'umanità intenta a leccarsi le ferite, non impegnata a colonizzare lo spazio, costruire immensi telescopi in Antartide e a ricreare specie scomparse.
Viene inoltre da chiedersi, visto il dispiegamento di forze e le sentinelle disposte sino all'orbita di Saturno, come mai i Primogeniti siano tanto gentili da inviare il loro araldo di morte lungo l'eclittica, invece di farlo arrivare inaspettato con una rotta perpendicolare.
Il vero punto critico del romanzo non è però la sua illogicità di fondo, quanto lo stanco trascinarsi della storia, che non ha mai momenti di tensione ma si perde in descrizioni di meraviglie tecnologiche e parti appicicate con lo sputo, tanto per riempire qualche pagina, come esempio si veda il capitolo 25.
L'azione è praticamente assente, i protagonisti passano gran parte del loro tempo in viaggio, ma un po' di vero movimento inizia a vedersi da pagina 98, peraltro una cosa minima, la bomba Q non è mai veramente preoccupante, perfino l'attentato ad Alessandro Magno non dà alcuna emozione.
Qualche spunto di interesse il romanzo lo riserva a chi è interessato alle tecnologie future: se ne trovano trovare molti esempi, dagli elevatori spaziali alle navi a vela, tutte basate sugli ultimi studi disponibili.
Mai avrei pensato di leggere un romanzo tanto scarso scritto da Clarke, posso solo pensare che le sue declinanti condizioni di salute gli abbiano impedito di dare il suo contributo (pochi mesi dopo la pubblicazione il grande scrittore i ha lasciato), e che il suo declino abbia coinciso con quello della serie.
Per sottolineare che il romanzo è opera del solo Baxter ho provveduto a cancellare il nome di Clarke dalla costa del libro, con un pennarello nero la cosa è abbastanza agevole, per la copertina il problema è più complesso, ma ci sto lavorando.
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