Il sogno dentro il sogno

La vida es sueño, come Pedro Calderón de la Barca insegna. E le domande mosse dalla pellicola

restano senza risposta. Ma forse, al di là della potenziale risonanza che le discussioni continueranno a stimolare intorno al film, non è un male. Le opere artisticamente insolute sono da sempre fonte di un fascino inesauribile, al cinema ancor più che in letteratura.E allora concentriamoci sulla traccia del film. Come ha avuto modo di dichiarare, per Inception Christopher Nolan ha preso le mosse dall’intuizione di “esplorare l’idea che più persone potessero condividere lo stesso sogno – entrare in uno spazio onirico e condividerlo con altra gente. Questo darebbe la possibilità di accedere all’inconscio altrui. Ma a quali usi e abusi si presterebbe questa opportunità?”

Ed è da questo spunto che ha concepito Inception, un film su cui ha lavorato per più di un decennio, considerando in prima battuta di farne un horror e quindi di volgerlo in un colpo grosso, classico film da rapina. Ma le suggestioni sul potere del sogno e l’influenza della memoria esigevano un trattamento più visionario e così lo script ha preso una virata fantascientifica. Quando per la prima volta lo propose alla Warner Bros nel 2001, Nolan c’impiegò poco per capire di aver bisogno di una maggiore confidenza con film di scala simile prima di lanciarsi in un’impresa tanto ambiziosa. Dopo l’esperienza con campioni d’incassi della levatura di Batman Begins (2005), The Prestige (2006) e The Dark Knight (2008), finalmente si è deciso a riprendere in mano il vecchio copione, lo ha completato e con un budget stimato tra i 160 e i 200 milioni di dollari e la supervisione della produttrice Emma Thomas, che è anche sua moglie, si è messo all’opera sul film che inseguiva da una vita, da quando da giovane si cimentava con la pratica del sogno lucido e della manipolazione dei sogni.

Ricordate quando in apertura azzardavo il parallelo tra la storia personale di Nolan e la trama di Inception? La chiusura del cerchio.

Iconograficamente personalissimo ma ricco anche di richiami a un panorama vastissimo di opere di fantascienza più o meno note, sia in ambito letterario che cinematografico, Inception potrebbe rappresentare davvero il capitolo dell’immaginario di fantascienza che l’appassionato aspettava ormai fin dai tempi di Matrix. Un lavoro che ancora una volta rende omaggio all’immaginario cyberpunk, attingendo al suo bacino sia per le tematiche (lo spazio virtuale introiettato nella mente del soggetto, lo scontro tra le multinazionali per il controllo del mercato e del mondo, l’ultima frontiera rappresentata dalla mente e dal corpo delle persone) che per i personaggi (prima di questo film avevamo già incontrato il falsario Eames nelle pagine di Neuromante, quando si chiamava Peter Riviera e manifestava seri problemi comportamentali).

Seminale si rivela così l’opera di William Gibson, che ha mostrato di gradire il lavoro di Nolan sia attraverso Twitter (“I think Inception just became my favorite caper film. I keep thinking of Fritz Leiber, actually”) che in interviste varie, in cui dichiara di avervi riconosciuto molte altre influenze indipendenti dalla propria opera. E se anche il Neuromante cinematografico di Vincenzo Natali dovesse rivelarsi deludente (e qui si fanno debitamente tifo e scongiuri perché non accada), potremo sempre consolarci riguardando ancora una volta Inception. Che è un film su un sogno condiviso e sul potere che ci dà trovare altre persone con cui condividere lo spazio di un’illusione. Al buio di una sala cinematografica come nella vita di tutti i giorni, sulle pagine di un libro o davanti a un’opera d’arte. E probabilmente il discorso potrebbe prestarsi benissimo anche a una lettura politica e sociale, al di là della valenza strettamente culturale.

Condividere un sogno: in tempi come questi, esiste qualcosa di più rivoluzionario?