Come 2001: Odissea nello Spazio (1968), come Blade Runner e un po’ anche come Cloverfield (2008) e Watchmen (2009), Inception resta un film spiazzante soprattutto nella sua capacità di sollevare molti più interrogativi di quante siano le risposte che è disposto a fornire. Come per l’enigma del quinto replicante che ancora oggi alimenta le discussioni intorno a Blade Runner e alla natura del cacciatore di taglie Rick Deckard, così è forse fin troppo facile pronosticare che il dibattito intorno al senso di Inception verterà sulla dicotomia tra sogno e realtà, e sull’ambiguità del mondo in cui si risveglia il protagonista nell’epilogo della pellicola.Gli argomenti che sembrano prestarsi meglio al gioco delle interpretazioni sono le figure dei bambini di Cobb e Mal e la trottola che il primo ha ereditato da quest’ultima.I figli rappresentano l’ultimo legame di Cobb con il mondo, in fondo sono la molla che ha fatto desistere il protagonista dal sogno profondo condiviso con la moglie, richiamandolo “in superficie” dall’utopia di un nido d’intimità in cui «rivivere» la loro storia sentimentale. Come ci mostrano i suoi flashback ricorrenti, il loro esperimento finisce presto per sovvertire ogni regola stabilita: raggiunti livelli sempre più bassi, sconfinanti nel limbo, lo spazio indistinto dell’inconscio che alimenta i processi onirici, la coppia vive nel tempo rallentato del sogno una vita che anticipa gli anni futuri della loro relazione. Risaliti “in superficie”, le loro reazioni sono antitetiche: Mal rifiuta di riconoscere i figli, scambiandoli per semplici proiezioni del proprio subconscio; Cobb, invece, non nutre dubbi sulla natura della realtà, forte della convinzione di aver fatto ritorno nel mondo da cui erano partiti. Per convincerlo del contrario, Mal si suicida davanti ai suoi occhi, non prima di avergli rivelato di aver seminato prove a sufficienza sul suo conto perché venga scambiato per il suo assassino. È l’evento che separa le loro vite e che costringe Cobb alla fuga, lontano dai loro figli e alle prese con il ricordo ossessivo della moglie e della sua lucida follia.
Il volto dei bambini resta nascosto per tutta la durata della pellicola fino all’epilogo, quando Cobb può finalmente riabbracciarli. La scena sembra a tutti gli effetti un déjà-vu, con i figli vestiti e in posa in maniera identica al ricordo di Cobb, abbastanza per sollevare l’interrogativo: sono davvero loro e Cobb si è pertanto risvegliato davvero o non sono altro che una proiezione del suo subconscio e pertanto Cobb è ancora schiavo del sogno? Quest’ultima spiegazione è forse più immediata, ma non rende giustizia alle innumerevoli volte in cui la mente umana stravolge le percezioni con effetti anche radicali sulla nostra rappresentazione del mondo: come nelle incisioni di Maurits Cornelis Escher, omaggiato esplicitamente nel corso della pellicola, talvolta diventa difficile capire dove una cosa inizi e dove finisca, o discriminare tra la causa e l’effetto.
La trottola, il totem personale che Cobb usa come strumento per differenziare il sogno dalla realtà (Arthur ha un dado, Ariadne si forgia un alfiere da scacchiera), diventa in questi termini l’elemento cruciale per dare un’interpretazione alla pellicola. Il totem, nel gergo degli estrattori, è qualsiasi cosa in grado di confermare la percezione della realtà e ogni estrattore ne ha uno personalizzato: un oggetto personale dalle caratteristiche (peso, consistenza al tatto, forma) note solo al suo proprietario e pertanto inimitabili da eventuali malintenzionati che dovessero interferire con la sua mente.
Cobb dice ad Ariadne di avere ereditato la sua trottola da Mal, e in effetti lo vediamo manomettere il segreto custodito dalla moglie nel rifugio personale che la donna si è creata all’interno del loro sogno condiviso: Cobb apre lo scrigno, prende la trottola ma, anziché ricollocarla al suo posto, cambiarne posizione oppure appropriarsene, la mette in rotazione prima di riporla nella “stanza segreta” di Mal. Quando riapre lo scrigno, alla vista della trottola che aveva lasciato depositata inerte e che adesso trova invece in rotazione, la donna viene assalita dall’idea che il mondo possa non essere quello che sembra. In virtù della sua scarsa immediatezza, l’associazione è forse meno efficace rispetto alla trappola congegnata ai danni di Fischer, non essendo del tutto esplicitato il passaggio dalla manomissione dell’archivio mentale segreto all’illuminazione sull’illusorietà del mondo. Ma giustifica l’apatia di Mal al risveglio e la sua ricerca compulsiva di una via di fuga, di un accesso a un piano superiore di realtà, a cui ci si potrebbe ridestare semplicemente avendo il coraggio di fare l’ultimo passo ed ammazzarsi.
Ora che la moglie è morta, Cobb usa la sua trottola come totem. Può questo togliere ogni dubbio sulla possibilità che il protagonista stia dormendo il proprio sogno, o il sogno della moglie, o il sogno di qualcun altro ancora? Siccome Cobb utilizza il totem appartenuto a qualcun altro prima di lui, la faccenda è compromessa a monte e, spingendoci un passo avanti nella teoria delle speculazioni pure, c’imbattiamo in un ulteriore interrogativo: e se la trottola fosse fin dall’inizio il totem di Cobb? Se tutta la sua vita, dal sogno condiviso con Mal al suo suicidio, non fossero altro che un suo tentativo di procedere a un impianto dell’idea ai danni di se stesso, e la morte della moglie un effetto collaterale provocato nella realtà da questa impresa assurda?
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