Al terzo livello, Cobb, Eames, Saito e Ariadne guidano Fischer in una fortezza di montagna, sperduta tra le nevi di un ghiacciaio immaginario e presidiata dalle sentinelle amate del subconscio della vittima stessa. Penetrato nell’installazione, Fischer sta per varcare la soglia del bunker in cui gli incursori hanno predisposto la trappola finale, quando l’intrusione di Mal e l’incapacità di Cobb di abbatterla per tempo manda a monte il piano. La proiezione di Mal, che sta cercando di ribellarsi alla prigionia psichica che Cobb le ha riservato nel proprio subconscio, interferisce con il sogno e ammazza Fischer prima che questi possa cadere nella trappola che lo attende.Per le conseguenze della ferita riportata nel primo livello del sogno, Saito si abbandona alla morte onirica che lo sprofonderà nel limbo del sogno altrui. A Cobb e al resto della squadra che lo ha seguito fin lì non resta che un ultimo, estremo tentativo: spingersi ancora più in basso, proprio nello spazio onirico grezzo del limbo, che è puro infinito subconscio, per riportare Fischer al terzo livello onirico. È un’impresa disperata e, malgrado l’aiuto di Ariadne che è l’unica a conoscere la reale portata del suo senso di colpa per quanto occorso alla moglie, Cobb soccombe all’impulso irrazionale evocato dalla proiezione di Mal. Tra le macerie del loro sogno condiviso – sono pur sempre, non dimentichiamolo, nel sogno di Cobb, e il limbo conserva ancora i resti degli esperimenti onirici condotti con Mal, con l’evocativa rappresentazione di una metropoli desolata che si sgretola sotto i colpi furiosi delle onde dell’oceano – Cobb scende a patti con lei: resteranno lì, insieme, se Mal in cambio accetterà di lasciare l’inconscio di Fischer libero di riemergere al terzo livello.
Fischer si risveglia nel terzo livello e può cadere nella trappola ordita per lui. Dopodiché la sequenza di calci preparati da Yussuf, Arthur e Eames (quest’ultimo attraverso delle cariche piazzate all’uopo nella fortezza) è pronta per richiamare tutti alla coscienza. Prima che si compia, mancano però all’appello Saito e Cobb: nel tempo lentissimo del limbo, Cobb si separa – più o meno intenzionalmente – da Mal e si risveglia su una spiaggia, ai piedi di un palazzo imponente. L’inquilino del palazzo è Saito, che nel frattempo è invecchiato nell’attesa del suo arrivo. Dietro le rughe del suo volto martoriato dal tempo, il prigioniero della fortezza sull’oceano si ricorda ancora di lui. Cobb rammenta com’è arrivato fin lì e perché, e ricorda anche qualcosa che aveva lasciato sepolto in fondo al proprio inconscio: la discesa onirica nel limbo ha fatto riemergere la verità sul suicidio di Mal, sulla sua ossessiva ricerca di un piano superiore di realtà a seguito della confusione prodotta dal loro comune scavare nell’inconscio e nel sogno, ma anche le responsabilità che gravano sulla coscienza di Cobb. La morte di Mal è stata l’effetto del primo tentativo osato da Cobb per praticare un impianto, instillando l’idea che il mondo in cui si sarebbero risvegliati non sarebbe stato altro che un nuovo livello di illusione, nella scalata verso il definitivo – se possibile – ritorno alla realtà.
Saito e Cobb riescono così a risvegliarsi con gli altri, ma Cobb reca con sé il dubbio che possa trattarsi solo di un altro livello nell’impalcatura dei sogni, lo stesso da cui Mal è riuscita a evadere. Saito mantiene il patto e gli permette di rientrare liberamente negli USA. Qui Cobb viene accolto dal suocero, che lo porta a casa per ricongiungersi finalmente ai figli. L’estrattore lancia la sua trottola sul tavolo e corre a riabbracciare i bambini, che sono identici all’immagine di loro che lo perseguitava nei ricordi e che finalmente gli rivelano i volti che a lui pareva di aver dimenticato.
I titoli di coda ci impediscono di avere una risposta sull’ambiguità realtà/sogno dalla trottola, interrompendo la scena prima di vederla eventualmente perdere di slancio e arrestarsi sotto il richiamo della gravità.
Il dominio del totem
Saggio di costruzione narrativa applicata alla settima arte, in Inception tutto sembra reggersi su un equilibrio fragile, ma a conferire sicurezza all’impalcatura drammatica del film è la concretezza delle sue basi. Nel congegnare dinamiche credibili in un campo come quello onirico, dove ogni cosa nasce per definizione sotto il segno dell’ambiguità e dell’incertezza e dove niente è mai come appare, Christopher Nolan non lesina nei particolari: così l’idea stessa del sogno a livelli annidati, che nelle mani di un regista meno esperto o ispirato avrebbe potuto ridursi a risibile e sgangherata applicazione dei processi videoludici nel contesto di un blockbuster d’azione, riesce in realtà ad assolvere con efficacia alla propria funzione, mostrando allo spettatore e impiantandogli nella testa l’idea stessa che la realtà potrebbe non essere altro che un sogno incapsulato in un sogno e così via; la trasmissione dell’informazione, tramite percezioni e impressioni (la musica, l’effetto della gravità) da un livello al successivo testimonia l’accuratezza perseguita dal regista non solo in fase di realizzazione dell’opera, con le sue scenografie spettacolari e le sequenze d’azione all’insegna di un ritmo travolgente, ma soprattutto in sede di scrittura. E l’ambiguità che avvolge la figura di Mal, spettro maledetto e onnipresente che domina l’inconscio di Cobb e i suoi sogni autoindotti, carica le scene di un pathos e di un senso di pericolo imminente capace di evocare l’angoscia cosmica che si respira nel classico di H.P. Lovecraft sulle Dreamlands: La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath (1927).
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