Si può tranquillamente affermare che William Gibson ha cambiato la letteratura di fantascienza. Se abbia o meno creato il cyberpunk o se si sia limitato a cogliere in anticipo le tendenze, resta il fatto che è riuscito a creare un intero universo le cui immagini fanno ormai parte della vita quotidiana. La sua carriera di autore si è comunque evoluta, passando dall'analisi degli impatti tecnologici a quella più propriamente sociologica e di indagine. Dopo la trilogia dello Sprawl e quella del Ponte, Gibson ha messo mano a una nuova trilogia, iniziata con L'accademia dei sogni nel 2003, proseguita con Guerreros nel 2007 e che trova la sua conclusione in Zero History, appena uscito negli USA. Per l'occasione Gibson è impegnato nel solito tour de force di dichiarazioni e interviste, una delle quali, molto lunga, è stata rilasciata al sito Viceland.com.

Come nei precedenti due romanzi, anche in questo lo sguardo di Gibson torna sul mondo violento e perverso del marketing, della pubblicità, delle previsioni di tendenza. E lo fa descrivendo un mondo molto vicino al nostro, in cui l'aspetto fantascientifico sta nel portare alle estreme conseguenze idee e tendenze attuali. In Zero History si ritrovano i personaggi già conosciuti negli altri due romanzi: Hubertus Bigend, lo spietato imprenditore del marketing; Hollis Henry, ex rocker e ora giornalista freelance; Milgrim, tossicodipendente a "storia zero", cioè senza credito, indirizzo o altre risorse. Holly e Milgrim dovranno scoprire per conto di Bigend l'identità segreta del designer di una nuova marca di jeans ultratecnologici, che Bigend spera di arruolare per conto dell'esercito USA. Ma l'indagine si rivela presto piena di intrighi e pericoli, e i protagonisti scopriranno che di marketing si può anche morire.

Trattare il marketing alla stregua dello spionaggio internazionale, e tutto basato su un paio di pantaloni, può dare l'impressione di una virata satirica di Gibson. Ipotesi che l'autore confuta, anche se non nega che il tipo di analisi antropologica che gli piace deve essere tagliante come la vera satira. Questa considerazione sposta il discorso sul genere affrontato da Gibson, che è ormai una fusione sempre maggiore di elementi presi a prestito da generi diversi, dal cyperbunk meno estremo alla spy story classica. Gibson ammette di essere poco portato a stare nei limiti di un solo genere letterario e, sornionamente, si scusa con i lettori per la confusione che può causare loro.

L'approccio antropologico si sofferma principalmente sugli effetti del marketing estremo, che per Gibson sembra quasi l'unico tipo di cultura che la società moderna sia in grado di produrre. "Campione" di questo approccio è il personaggio di Bigend, che presenta alcuni tratti simili ai cattivi dei film di James Bond, pur mantenendo delle ambiguità di fondo che lo rendono più razionale e meno caricaturale. Mentre gli eroi della trilogia si rapportano con il marketing in modo differente e contraddittorio: alternativamente interessata e distante Holly, del tutto indifferente Milgrim, addirittura ipersensibile Cayce Pollard, la protagonista di L'accademia dei sogni che in Zero History però non compare.

Qui Gibson spiega che lo sviluppo dei personaggi è stato in qualche modo consequenziale a ciò che voleva raccontare, pur non essendo derivazione diretta della propria esperienza. Gibson dichiara di non essere particolarmente influenzato dalle campagne pubblicitarie, ma che raccontare di personaggi come Cayce, e il suo rapporto patologico con il marketing, era più divertente e interessante. Poi Gibson passa all'analisi del rapporto tra marketing e tecnologia dell'informazione, sostenendo che l'esclusività, o l'idea di lusso di un prodotto, viene ormai fatta passare non attraverso il prezzo economico del prodotto ma attraverso la quantità di informazione necessaria per acquisirlo. L'attrattività di ciò che viene definito "marchio segreto", secondo Gibson, sta nel coinvolgimento individuale che riesce a suscitare, attraverso le informazioni che trasmette.

Gibson poi spiega perché ha voluto utilizzare un'icona americana come i jeans come fulcro del romanzo, soprattutto collegandoli al mondo militare. Secondo l'autore, la guerra del marketing è una metafora più che efficiente della guerra reale, e in questo contesto non stupisce che si possa anche morire per un'idea pubblicitaria. Così come non stupisce che un paio di jeans possano diventare uno strumento militare, compiendo un procedimento inverso a quello per cui l'abbigliamento militare è diventato comune nella moda giovanile. Se nell'immediato post-Vietnam indossare giacche militari era diventato un elemento culturale di protesta, oggi le tenute militari indossate da civili simboleggiano il grado di militarizzazione della società, l'intrusione di logiche e strutture da esercito nell'ambito della vita privata.

L'abbigliamento però può anche essere utile a evitare un controllo troppo invasivo. In questo ambito si colloca l'invenzione letteraria della "T-shirt più brutta del mondo", ovvero una maglietta che, indossata, cifra l'identità dell'utilizzatore in modo che non possa essere registrata dalle telecamere a circuito chiuso. Gibson riconosce il credito dell'idea al suo amico Bruce Sterling, un altro grande esperto di cyberpunk e comunicazione. Nel romanzo poi Gibson teorizza l'utilizzo di Twitter, uno dei social network emergenti, come strumento di comunicazione occulta. Gibson poi critica la tendenza dei pubblicitari a considerarsi "creativi" e portatori di innovazione: secondo l'autore l'innovazione delle idee pubblicitarie non ha alcuna attinenza con la creatività della ricerca scientifica, ma ne è semmai una "raccapricciante genotipizzazione", cioè un modo distorto di influire sul patrimonio delle conoscenze.

Curiosa è poi la relazione che Gibson stabilisce, nel romanzo, tra marketing e terrorismo. In regime di guerra asimmetrica un gruppo terrorista non può limitarsi a compiere attentati ma deve anche rivendicarli, fare quindi public relation di se stessi. Anche per evitare che altri gruppi se ne attribuiscano la paternità. Insomma, come per gli altri libri, anche il nuovo romanzo di Gibson sembra denso di idee e concetti, che si inseriscono in una trama rapida e complessa, degna della miglior spy-story d'annata. A conferma che la capacità dell'autore di Neuromante di leggere le contraddizioni della società e di estrapolazione tecnologica e sociologica sono rimaste intatte, anzi. Il link all'intervista completa, in inglese, è riportato nelle Risorse in rete.