Parte da premesse molto interessanti il romanzo di Biancamaria Massaro vincitore del Premio Kipple 2008: sembra quasi nascere da un sogno interrotto nel vivo, che abbia tuttavia conservato la forza della sua visione.
Sull’orlo del collasso ecologico, la Terra viene salvata dal suo amaro destino grazie al contatto con una civiltà aliena. Sono I Signori del Malsem, creature dalla netta somiglianza con la figura mitologica del vampiro che forniscono al pianeta il gas necessario a schermarne la superficie dagli effetti devastanti delle radiazioni ultraviolette del Sole. La loro invasione non è tuttavia immune da un prezzo: quello che i malsemi chiedono ai terrestri di pagare è un’elargizione di sangue, che spazia da forme volontarie che sconfinano nel sacrificio umano a forme coatte rigidamente disciplinate dal Patto, il sistema messo in piedi dagli invasori.
La convivenza tra alieni e umani è una tregua armata che si regge su un delicato equilibrio, e i terrestri dissanguati dagli alieni si ritrovano frammentati in una varietà di gruppi di resistenza e sottoculture: gli adoratori di Dracula prediligono concedersi ai malsemi fino alla morte; gli eredi di Van Helsing li combattono armati di paletti; i figli di Pablo inseguono il sogno di una Terra nuovamente libera. In questa contrapposizione magmatica maturano una serie di attentati ai danni dei malsemi e di quello che è il loro incaricato per il Progetto di Riverdimento della Terra, il botanico Maestro Paulsin. L’agente Mermidian Banshee del CSARTA, il Corpo Speciale Agenti Rapporti tra Terrestri e Alieni, viene incaricata delle indagini. Man mano che le sue mansioni ufficiali procedono, Mermidian sente crescere l’attrazione per il malsema, ma è allo stesso tempo assorbita da un piano maturato con Sasha Morovic, suo collega di pattuglia, per vendicare il suo ex-superiore e amante François Dupont assassinato proprio da un malsema.
Purtroppo, le ottime ipotesi da cui muove I Signori del Malsem finiscono per essere presto dissipate in una scrittura convenzionale, che in più riprese indulge in un eccesso di didascalismo che risalta soprattutto nei dialoghi, troppo macchinosi e fitti di rimandi a fatti, episodi ed eventi che dovrebbero essere già noti ai personaggi per risultare effettivamente credibili ed efficaci. Nel complesso risaltano alcuni buoni momenti narrativi, che raggiungono l’apice nelle scene più eroiche in cui la coppia di protagonisti sfiora o compie qualche forma di sacrificio. Dovrebbero essere questi i punti cardine del romanzo, in cui dispiegare nella loro pienezza le implicazioni dei rapporti tra umani e alieni e il ribaltamento di prospettiva nei riguardi del rapporto tra il pianeta moribondo e l’umanità che l’ha dissanguato, ma l’autrice sembra preferire una soluzione di basso profilo, non osando calcare la mano dove dovrebbe. In questa generale carenza di pathos, non risolve né il potenziale drammatico della storia né la sua sospensione tra i poli opposti dell’horror e della fantascienza, sospensione che somiglia di più a un perenne stato di indecisione.
Il linguaggio è l’elemento che penalizza maggiormente la componente fantascientifica della storia, riuscendo rigido e impacciato, incapace di creare quel velo immaginifico necessario per avvolgere il lettore in un panorama di vasto respiro come sarebbe richiesto a una storia di questo tipo. L’atmosfera riesce invece penalizzante per la componente orrorifica del romanzo, incapace di vibrare intorno al lettore e strappargli la risposta emotiva che da una storia simile, di amore e vendetta, ci si aspetterebbe. La trama poliziesca risulta poi debole al punto da tradire la propria natura di mero pretesto narrativo, non riuscendo a scavare come sarebbe richiesto nei meandri di questo mondo devastato dagli umani e occupato dagli alieni.
Senza la necessità di approfondire antropologicamente usi e costumi dei malsemi, che pure tradiscono interessanti analogie con l’antica Roma nella loro struttura sociale (bicipite come la Repubblica) e nelle loro relazioni (manierate come in una fiction sulla Decadenza dell’Impero), sarebbe bastata una maggiore cura nella costruzione della storia e delle psicologie dei personaggi per maneggiare un prodotto già intrigante. Invece Biancamaria Massaro dà l’impressione di essersi voluta fermare alla superficie del suo sogno, forse per paura di addentrarsi troppo nelle spire dell’incubo. L’ auspicio è che prima o poi sappia decidersi a rimettere mano a questo lavoro, per valorizzarne appieno le potenzialità che purtroppo risultano qui inespresse.
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