Pochi spunti carichi di originalità, quindi, contornati da altrettanta poca voglia di esplorare la materia, sembrano caratterizzare la presenza dei robot nel mondo dei fumetti. Una  presenza però che riesce a ricompensare chiunque abbia la volontà di spendere un po’ di impegno per approcciarvisi in modo brillante, fornendo spunti e soprattutto angolazioni narrative non comuni ed allargando al bacino del genere fantascientifico le potenzialità narrative del tipico fumetto di supereroi. Come dimostrato da Brian Clevinger e Scott Wegener nel loro Atomic Robo, rotto il ghiaccio delle difficoltà più comuni, sono proprio queste a diventare i punti di forza di un fumetto robotico. La mancanza di espressività diventa la leva per cercare una nuova, spesso più pregnante, mimica facciale; il confrontarsi con un’ottica diversa da quella prettamente umana diventa un buon punto di partenza per efficaci spunti narrativi, basti pensare alla longevità intrinseca di ogni essere robotico; il rapporto con gli esseri umani e la loro società, sempre se condotto in maniera non retorica, può diventare il modo per riconsiderare quanto ci circonda con uno sguardo diverso e si potrebbe continuare all’infinito. Se si potesse paragonare l’argomento robotico nei fumetti ad una miniera basterebbe, a chi ne fa uso, scavare un po’ più a fondo e con un po’ più di insistenza per arrivare la filone d’oro invece che rimanere a sfruttare con pigrizia quello di ferro o era il contrario?