Arras. Ospedale militare. 13 giorno.Lug ha voluto seguirmi. Il medico di turno ci fa entrare e ci guida fino al limite d'inizio della zona sterile. Ho un fugace momento d'irrealtà. Una statua in fleboclisi. Ora non potrei negare la sua magrezza. Ha pelle di un biancore trasparente, marmo sottile. Macchine, intorno, nella figura immobile affondano aghi e sonde di ogni genere e negli infiniti tubi scorrono fluidi costanti e vari. Indispensabili, ma impariamo presto a odiarli. Il personale ci permette - ormai - di restare.I periodi d'incoscienza terrorizzano e i momenti di coscienza angosciano. In essi egli volge all'elaborato supplizio che lo controlla, nutre, drena e chissà che altro, uno sguardo che penso indistinguibile da quello per i suoi vecchi carnefici.Ci viene spiegato che a causa degli esperimenti subiti, che potrebbero rovesciarne gli effetti, è necessario limitargli i narcotici. A volte lo vediamo tendersi per uno spasimo aggiunto e capiamo che un suo debole lamento equivale a un urlo. Lug in quei momenti mi sembra uscire di senno.

Arras. Ospedale Militare. Ho smesso di contare i giorni.

I medici approvano il mio tempo trascorso qui. Forse perché Kalis, il nostro S.19, sembra accettare la mia presenza più di quella d'altri. Vorrei ridurre il suo dolore a qualcosa che io possa sopportare. Cerchiamo e speriamo, ma solo per poco. Non ha più famiglia, genti, amori di sorta. Niente che noi gli si possa offrire per tenerlo in questo mondo. Lug deve avere i miei stessi pensieri e la medesima avvilita mancanza d'idee. Da ore è immerso nella lettura di un testo di cucina rituale shakti e l'ho visto consultare e compulsare una montagna d'altre informazioni.

Un Metis autentico e intatto è su un ripiano, vicino e all'altezza di un possibile sguardo di Kalis. La sottile catena a cui è agganciato è raccolta intorno a esso con ordine perfetto e cura diligente. Neppure un sacerdote Shakti avrebbe potuto disporlo meglio, ma Lug, come me incredulo e indifferente a riti e trascendenze, possiede, per ricerca ostinata, illustrazioni precise.

Esco. Devo allontanarmi dall'affaccendarsi dei medici, dall'incrocio sfuggente di sguardi, dal palese, lento vincere della sua intenzione sulla protervia delle macchine che lo circondano e sull'accanita volontà di chi lo cura. Sta morendo.

Conosco il giardino dell'ospedale. Anche quest'anno mi sorprende la fioritura del pruno nero. Ieri c'erano ancora le gemme, e ora ecco un'esplosione di petali scuri nell'angolo destro del viale. Un anno esatto. Uno Shakti mantiene sempre la parola. Anche quella data a inquisitori insistenti alle Porte di Gant. Anche quella data a chi, imbecille, ignora la possibile uguaglianza fra fuggire e morire.

In queste stanze s'aggirano e avvicendano diversi pensieri e sentimenti. Vari rimorsi. Lug, che non riesce a tacere e star fermo. Litos, inchiodato a ricordi di obbedienze che credeva doveri e che ora non osa fare neppure un gesto. Io.

E molli dispiaceri di subordinati aguzzini che rifarebbero tutto con vento e padroni mutati. E turpi presunzioni. Berski "cronista e pubblicista".

Uso un'autorità che so non possedere, ma che in qualche modo altri mi riconoscono e lascio fuori dalla stanza la video troupe e il suo certo, avido grufolìo nell'inerme povero pudore di Kalis. Berski, misurato gestire, studiatissimi sorrisi, compassione elegante, ne è deluso, ma lo nasconde dietro una condiscendente comprensione. Conosco, li ho cercati, i suoi servizi e articoli sul C.d.G. Le frasi, curate quanto le sue unghie, con cui sottilmente legittimava la folla che davanti al tribunale chiedeva vendetta e supplizi esemplari. Le colte citazioni con cui sosteneva, insufficiente la morte, più utile ed equo destinare il corpo dell'orrido criminale a rendere servigi all'umana comunità offesa. Non in uno stile inefficacemente esplicito, ma con la consumata abilità che facilmente gli riconosco e che oggi gli permette un ineffabile pietismo. I suoi pensieri mi sono facili. Poter avere l'eroe Shakti al Berski Show... Nel suo fine grigio di abito e capelli mi segue e si avvicina con compunta, epidermica attenzione a Kalis che, senza forze, lo ignora. Lo piego a leggere la demolita bellezza, armonia interrotta, di quel corpo che nei suoi elzeviri era mostro mitico, strumento d'effetti retorici. Le ustioni ineguali, i segni lunghi, disordinato intreccio, lasciati dagli scudisci, le ferite, le fratture malamente saldate. Scrittura, forse degli irosi giorni, ineleganti e volgari per un signor Berski, delle domande. Gli faccio compitare l'atroce geometria d'altre, esatte cicatrici, alcune ancora vivide sotto la trasparenza della medicazione, che appartiene invece al tempo silenzioso del Laboratorio. Narro i dolori e gli oltraggi invisibili, le umiliazioni e infamie che il signor Berski, celandoli con il brillante tessuto della sua prosa, certamente auspicava.