Alle Porte di Gant, a un istante dal cielo di Vharrat, Apate Zero usò i suoi due raggi traino autorizzati per abbandonare, prima dell'approdo, l'indesiderato resto del convoglio. Uno agganciò M. Nove, l'altro una "trasporto passeggeri" sconosciuta, pescandola dall'eterogeneo nugolo del seguito. Udirono la voce concitata del pilota di M. Otto non ottenere risposta dall'astronave imperiale. Videro il comandante dirigere i disintegratori, dicendo al collega sconvolto, che continuava a gridare l'errore, di tenersi pronto, e colpire con la solita precisione, l'"intrusa" che svanì in un polverio luminoso. Apate Zero non poté far altro che agganciare M. Otto. Erano impietriti. Non avevano mai fatto guerra ai civili. Il Comandante, tranquillo, con uno dei suoi sorrisi speciali, spiegò cosa avevano distrutto. Un cargo a volo automatico, truccato da "passeggeri". Dal carico indubbiamente prezioso; proveniva dal palazzo imperiale, ma non di certo vivo. Gant intimava loro di scendere. Nel suo cielo avevano in apparenza appena consumato un crimine orribile e beffardo. Il Comandante rispose loro assumendosi l'intera responsabilità dell'accaduto. In cambio dell'immunità per i quattro componenti l'equipaggio ai suoi ordini, offrì di consegnarsi senza reazioni di sorta. La proposta era allettante. Per la fama di lealtà dei "Puri" in generale e, soprattutto, del Comandante in particolare. Per le note possibilità della nave ai suoi ordini di dare filo da torcere. E per i molti reparti imperiali che avevano ricusato l'armistizio e che continuavano a combattere. Lui fra questi non era un'eventualità desiderabile. L'offerta fu accettata. Puntarono su Gant.Al momento dell'arresto, subito tempestato di domande, il Comandante, con ferma semplicità, scandì che nella propria resa seguiva le antiche consuetudini della sua razza. Di conseguenza era il solo responsabile, non avrebbe risposto ad alcuna e ulteriore domanda, e fra un anno se ne sarebbe andato.Un anno. Chi lo arrestava percepì in quella voce pacata e chiara la certezza della fuga. Certa quanto il mantenere gli altri impegni appena presi.

Il processo durò due giorni. La difesa non aveva testimoni. Nessuno di M. Otto o M. Nove si fece vivo. Litos mi ha raccontato la loro paura. Erano tempi di vendetta e imprecisione. Scomparsi i dati delle loro carriere. Apparivano dei criminali responsabili di una strage odiosa e insensata. Avevano la possibilità di vedersi solo durante le udienze e non potevano parlarsi. Due guardie restavano sempre incollate ai fianchi del Comandante. Per trovare ragioni del suo gesto fecero le ipotesi più infami.

A Litos e ai suoi compagni fu detto che il secondo pilota si era suicidato. Il difensore parlò loro. Tacquero e furono liberi. In tre. Per il Comandante il processo continuò.

Più tardi, con la Legge di Ar, Litos poté tornare a fare l'unico mestiere che conosceva. Il soldato. Ma nelle truppe dell'Hansa. La vita era tornata normale.

Forse fu uno stupido errore, forse no, ma un giorno gli fu comandato un turno di guardia ai Laboratori di Ricerca di Dargirdeh. I più importanti. Disponevano di una cavia Shakti. E lo riconobbe. Non mi ha detto cosa vide, ma per un istante l'ho visto serrare le mascelle sul ricordo insopportabile. Di nascosto vomitò per giorni, ma eseguiva gli ordini. Poi, un giorno... Mentre proseguiva il proprio racconto vedevo Litos sgretolarsi davanti ai miei occhi e con frasi sempre più frammentate confidarmi che l'avrebbe fatto fuggire ma lui, steso sul tavolo anatomico o appeso al muro, coperto di sangue, gli diceva "O poszen.". Più tardi. Più tardi. Finalmente Litos riuscì ad andare dal dottor Ain. Le raccontò tutto. Ella lo tenne al sicuro finché fu necessario e trovò altri testimoni. Tutto giunse ai mass-media, e nonostante il fumo di menzogne e inesattezze di alcuni la sentenza fu riveduta. Con il pretesto di accelerare i tempi il C.d.G. è stato solo graziato, ma la sua morte è una figuraccia assolutamente da evitare. Ecco perché è nel Centro più attrezzato di Rianimazione e Terapia Intensiva. In questa città, all'Ospedale Militare.

Ero a pochi passi e non lo sapevo. C.d.G. S.19. Kalis Atanatos, pilota, comandante dell'astronave da combattimento Ph. Melos Tre della flotta imperiale.

"Luce nera", leggenda e proverbio già dai primi giorni di guerra, quando da sola aveva messo fuori uso la nostra ammiraglia, manovrando con l'astuzia e la velocità di una piccola mangusta.