Deus ex machina: già il fatto che questa locuzione sia in latino e non inglese è un segnale di quanto sia antico il fenomeno a cui si riferisce. In effetti, la frase latina stessa è una traduzione dell'analogo greco ἀπὸ μηχανὴς θεός, e risale a tempi ancora più antichi, quando un sistema di funi e argani calava sul palcoscenico un attore che rappresentava l'intervento divino che risolveva la situazione. Già allora, insomma, era considerato un po' barare: il drammaturgo metteva in piedi una trama, una sequenza di eventi, un intreccio complicato, e poi non trovando più lui stesso una via d'uscita se la cavava facendo intervenire un dio a risolvere tutto. Facile così. Probabilmente avrete già capito che questa introduzione storica ci serve non per parlare di Euripide ma di Lost, la serie che si è da poco conclusa dopo sei anni di intrighi, misteri, domande molte delle quali lasciate irrisolte. Ma non si tratta solo di Lost; e forse non si tratta solo di cavarsela a buon mercato.
Nel finale di Lost, tutti i personaggi si ritrovano in una chiesa, della quale vengono mostrate le vetrate correttamente ornate con simboli di tutte le maggiori religioni, pronti finalmente per "passare oltre". Ci viene spiegato che tutta la controtrama dell'ultima stagione, quello che sembrava un universo alternativo in cui l'isola era affondata e il volo Oceanic 815 non era precipitato, altro non era che una sorta di purgatorio nel quale i nostri protagonisti aspettavano di ritrovare se stessi e la propria controparte per poter alla fine accedere allo stato successivo, rappresentato da una bianchissima luce che li attende al di là di una simbolica porta.
Alla fine della prima stagione di Lost, quando i fan si accapigliavano cercando le possibili soluzioni dell'enigma, la teoria che andava per la maggiore era proprio quella del purgatorio. Secondo quella teoria i protagonisti erano effettivamente morti nello schianto dell'aereo, e l'isola era il luogo in cui attendevano di poter andare in paradiso. La teoria alla fine fu smentita dagli stessi autori della serie (all'epoca c'era ancora J.J. Abrams).
Nel finale di Battlestar Galactica apprendiamo che la Numero 6 che appariva a Baltar e che solo lui vedeva non era né un sintomo della sua schizofrenia né un prodotto di qualche impianto cerebrale installatogli nella testa dai Cylon. La biondona vestita di rosso, come pure l'analogo Baltar immaginario che specularmente si manifestava a Caprica 6, altro non era che un angelo inviato da dio. Natura divina condivisa anche da un altro personaggio, Starbuck, apparentemente morta durante la terza stagione per ricomparire pochi episodi più avanti. Un eccellente teaser per la stagione successiva: cosa è accaduto? Come ha fatto a non morire? Come ha fatto a raggiungere la Terra? Dove ha trovato un viper nuovo di zecca? Come ha fatto a ritrovare la flotta? Come mai per lei sono trascorsi pochi giorni mentre per gli altri sono passati mesi?
Tutte domande alle quali gli sceneggiatori hanno risposto con l'antico metodo di Euripide: ἀπὸ μηχανὴς θεός, Starbuck non è la vera Kara Thrace ma un angelo inviato da Dio.
Va detto, a difesa di Galactica, che l'aspetto mistico della serie è decisamente più esplicito rispetto a quanto avveniva in Lost. Ron Moore aveva già portato questi argomenti in una serie di fantascienza con Deep Space Nine, dove per la prima volta il tema religioso compariva nell'universo ultrailliuminista di Star Trek. Il pianeta Bajor era sostanzialmente una metafora di Israele, con il suo passato di sterminio e di lotta per l'indipendenza, ma anche con un forte retaggio religioso e un ordinamento teocratico; e cambiava ben poco le cose il fatto che gli dei di Bajor avessero, alla fine, una sorta di spiegazione razionale, identificandoli con una sorta di super esseri alieni provenienti da un'altra dimensione.
Con Battlestar Galactica Moore ha mano più libera e introduce il tema divino fin dall'inizio. Gli abitanti delle Colonie sono pagani politeisti, poco legati ai loro culti; paradossalmente sono invece le macchine, i Cylon, che agiscono confrontandosi quotidianamente con un dio unico, assoluto, un dio che è amore e che nonostante questo non impedisce ai Cylon di sterminare quasi l'intera specie umana; contraddizione che siamo ben abituati a riconoscere nelle grandi religioni monoteiste.
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