Nel frattempo, però, il sex appeal di Lost era cresciuto in maniera esponenziale. Non si trattava più di una semplice serie televisiva ma di una fede, un credo ideologico, una visione del mondo radicalmente nuova. Il disvelarsi del senso profondo dell'universo. Una sorta di fusione tra Bibbia, fisica quantistica, speculazione scientifica d'estrema frontiera, più un pizzichino di metafisica che non guasta mai. Ho visto persone senza dubbio intelligenti discettare sui particolari più insignificanti dei singoli episodi, traendone conclusioni a livelli sfrenati di gigantismo cosmico. Sono stato trattato come un povero mentecatto per le mie obiezioni alla pochezza della quinta stagione. Aspetta e vedrai. Ti sistemeranno i due prodi Lindelof e Cuse, infedele di cacca. Bon. Mi hanno sistemato. Hanno sistemato tutti. Ho visto le stesse persone sgonfiarsi nel corso della sesta stagione come palloncini bucati da un clown cattivo. La stupidità delle agnizioni finali è troppo evidente per negarla. Concludendo: l'isola è un tappo. Che, sotto le benevole cure dell'onnipresente Jacob, serve a non lasciar scappare il cattivissimo mostro di fumo. Peraltro creato dallo stesso Jacob in un impeto d'ira, scaraventando il fratello nella mistica fonte di luce. Dico io, non poteva pensarci prima? Ehi, ragazzi, ma allora l'intera serie non sarebbe esistita, giusto?
I poveri pisquanelli, Jack e Kate e compagnia bella, sono stati scelti perché la loro vita non era felice e invece finendo sull'isola avrebero vissuto un sacco di eccitanti avventure e conferito infine un significato alla loro miserabile esistenza. Ciumbia. Credo di avere letto idee più profonde su alcuni bigliettini dei Baci Perugina, ma forse mi sbaglio.
Per non parlare del presunto universo parallelo della sesta stagione: l'isola è affondata dopo la famosa esplosione e tutti atterrano sani e salvi a Los Angeles, anche se poi un'irresistibile forza d'attrazione li porta a riunirsi fino al sublime happy ending in una chiesa. Con un bell'omaggio allo spirito sempiterno del cattolicesimo, questo va detto. Uno guarda e si chiede: come mai accade ciò? A un certo punto, mi è venuto da pensare che forse erano tutti defunti e si stavano radunando per formare una pia congregazione di anime beate (tipo Totò in 47 morto che parla), ma mi sono detto naa, è troppo banale, troppo stupido, troppo risaputo, non può essere. Invece, guarda tu, avevo ragione. La sconvolgente novità di Lost. Che si conclude riabilitando i noti racconti di esperienze dopo la morte, con tanto di luce abbagliante dell'aldilà o quel che è, singhiozzare di violini, laghi e mari e oceani di buoni sentimenti. I nostri eroi passano oltre. Con una strizzatina d'occhio a un'altra serie televisiva tra le più infami, Ghost Wisperer, anche se manca la lacrimuccia tenera di Jennifer Love Hewitt. Peccato. Già che c'erano, ce la potevano mettere.
Resterebbe da dire che i veri interrogativi sollevati dalla storia non sono stati risolti. Giusto per citarne qualcuno: cos'è realmente l'isola, al di là della sua natura di tappo? Cos'è la luce che promana dal suo centro? Perché il fratello di Jacob, del quale ho scordato il nome, si è trasformato nel mostro di fumo dopo essere stato gettato nella luce? (Qui forse conosco la risposta, in perfetta linea con la scemenza della sceneggiatura: perché era cattivo e quindi doveva diventare un mostro cattivo.) Perché non si sono trasformati anche Jack e Desmond, che pure sono finiti nello stesso posto? Perché e come le barriere a pilastro che circondano la base della Dharma riescono a fermare il mostro di fumo? E cosa avrebbe fatto il suddetto mostro, se fosse riuscito a liberarsi nel mondo? Si sarebbe magnato l'intera specie umana? Poi avrebbe giocato a scacchi da solo? E Ben è soltanto una testa di razzo oppure uno schizofrenico in cui convivono miriadi di personalità conflittuali? Perché il sottomarino non era dipinto di giallo per farmelo piacere di più, amando io i Beatles? Se la Valtour costruisse un villaggio turistico sull'isola, si potrebbero fare massaggi rilassanti nella sorgente di luce?
Eccetera. Ma è inutile porsi siffatti interrogativi. Lost è morta, viva Lost. Almeno non ci sarà da patire un altro anno d'attesa.
Quando ero piccolo, adoravo i romanzi di Alfred Elton van Vogt, nei quali non capivo una mazza e proprio per questo mi piacevano: perché mi facevano sentire un misero coglioncello al cospetto di tanta mente. A quanto ho poi scoperto, nessuno ci ha mai capito una mazza, probabilmente nemmeno l'autore. La cui poetica consisteva nell'infilare una sorpresona ogni tre pagine, se ben rimembro, per lasciare senza fiato il lettore. Ideatori e sceneggiatori di Lost devono essersi studiati a memoria l'opera omnia di AEvV. Solo che lui era molto più divertente, originale, creativo, e non spiegava un razzo perché si era talmente immerdato che alla fine non sapeva più da che parte girarsi e nemmeno ci provava. Invece questi debosciati
hanno voluto superare il Maestro e hanno fatto la figura dei cioccolatini, come si dice dalle mie parti. Tsk tsk. Di Van Vogt ne nasce uno per secolo.
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