La notizia ha fatto il giro del mondo in poco tempo: un gruppo di ricercatori del J. Craig Venter Institute, coordinati dallo stesso John Craig Venter, è riuscito a costruire la prima cellula sintetica, cioè controllata da un genoma sintetico. In breve, il procedimento è consistito nel sintetizzare un genoma, ovvero una sequenza di cromosomi del DNA, partendo da componenti elementari e programmando la sequenza via computer. Il genoma così prodotto è stato poi inserito nella cellula di un batterio, soppiantando il DNA originale. L’aspetto importante dell’esperimento è che la cellula così riprogrammata non solo si è comportata seguendo le nuove “istruzioni” inserite, ma ha dimostrato capacità di riprodursi e trasferire le istruzioni alla propria discendenza. Che sono le caratteristiche primarie di ciò che si definisce comunemente “vita”. Questa tecnica, seppure con tutti i limiti di una sperimentazione appena agli inizi, ha dimostrato la possibilità di costruire in laboratorio organismi semplici quali sono i batteri, programmandone il codice genetico per renderli adatti a svolgere compiti predeterminati. Già si parla della possibilità di batteri mangiarifiuti, batteri in grado di riparare organi e tessuti, batteri specializzati nella produzione di alimenti e carburanti. Chi si è spinto più in là ha ventilato ipotesi di organismi intelligenti costruiti in laboratorio, con tutte le implicazioni del caso sia etiche sia religiose, tasto quest’ultimo battuto soprattutto in Italia. Altri ancora hanno paventato i rischi dalla proliferazione di queste tecnologie, qualora capitassero nelle mani sbagliate: come se dalla caduta del muro non ci fosse già un discreto commercio di armi chimiche e nucleari che bucano i confini dell’ex blocco comunista. Ovviamente, sono tutte ipotesi lontane nel tempo, e di cui l’innocuo batterio con genoma sintetico a bordo non ha responsabilità né, si sospetta, molto interesse. L’interesse c’è invece, ed è parecchio, riguardo all’aspetto economico dell’intera vicenda. Mentre scienziati, filosofi, politici, teologi, dibattono in punta di fioretto o brandendo la clava, dimostrando più o meno preoccupazione, Venter e il suo entourage dialogano con aziende petrolifere, multinazionali farmaceutiche, produttori di biotecnologie agricole; si scambiano informazioni, delineano programmi di ricerca, mettono a punto i passi successivi. Per esempio, la Exxon Mobile avrebbe già approvato un finanziamento di ben seicento milioni di dollari, di cui il gruppo di Venter beneficerà, per lo sviluppo di un programma di ricerca sulla produzione del cosiddetto biofuel, carburante di origine biologica prodotto da batteri sintetici. Tutto ciò alla luce del sole, anzi, mettendo a disposizione della comunità parecchio materiale informativo in modo totalmente libero. E senza curarsi delle critiche di parte della comunità scientifica che, memore della sfida lanciata dallo scienziato negli anni passati al Progetto Genoma Umano (Venter ne accusava la lentezza e l’inadeguatezza dei presupposti metodologici), discute i risultati ma soprattutto i metodi utilizzati.
Lo stesso Venter sembra un personaggio uscito da un romanzo di fantascienza della migliore Golden Age americana: da adolescente spensierato che preferisce passare il tempo in barca più che sui banchi del college, l’esperienza in Vietnam come assistente in un ospedale da campo lo spinge verso gli studi di biochimica e poi verso il Ph.D in farmacologia. Ben presto Venter scopre che esercitare non è il suo mestiere; molto più promettente è la ricerca genetica applicata, per via degli impetuosi sviluppi che si intravedono già alla fine degli anni Settanta. Per poter applicare liberamente i suoi metodi di sequenziamento genomico fonda la Celera Genomics, con la quale si pone l’obiettivo primario di rendere pubbliche le sue ricerche e quello secondario (ma non troppo) di monetizzarne i risultati. Le ricerche sulla mappatura del genoma umano hanno talmente successo che Venter viene cacciato dalla sua stessa compagnia per disaccordi con i finanziatori, ne fonda un’altra (Synthetic Genomic) e nel frattempo diventa presidente dell’istituto, fondato sempre da lui e che porta graziosamente il suo nome.
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