Ma i Thomas si superano, raggiungendo picchi di manierismo: siamo in America centrale e a far da apripista non può che essere un “indios”, (sarà Richard Chaves a vestire i panni del latino di turno). Li si può quasi immaginare a scervellarsi per assegnargli un nome adatto, e alla fine optare per “Poncho Ramirez”, talmente evocativo da suonare assurdamente tarantiniano (come “Jungle Julia” e “Stuntman Mike” di Grindhouse: a prova di morte, 2007). E insistono, aggiungendo un nativo americano (lo scout pellerossa “Billy”, interpretato da Sonny Landham), che rievoca il mito del “buon selvaggio” e che, manco a dirlo, è il primo ad afferrare l’elemento soprannaturale del predatore alieno, grazie all’immancabile e sempiterna comunione con gli spiriti della natura.Non poteva mancare il contraltare di Dutch, Hawkins, soldato mingherlino e occhialuto che cerca di guadagnare il rispetto dei compagni d’arme improvvisando barzellette a sfondo sessuale (ma perdoniamo tutto a Shane Black che lo interpreta, perché ci ha regalato Kiss Kiss Bang Bang, 2005, alla regia, con l’ottimo Robert Downey Jr).Se gli elementi fossero questi, Predator”sarebbe una scadente “War Story” con le tinte fosche e i cliché di un “Action Movie”. Ma l’innovazione c’è, ed è proprio quella minaccia invisibile, quel nemico carismatico (che molto deve agli effetti visivi, all’epoca strabilianti) cui il titolo rimanda. McTiernan gioca ad un lento svelamento dell’antagonista: ci fa solo intravedere il Predator (regalandoci un ululato agghiacciante), si sofferma sulle atrocità cui è capace, sulle sue vittime e sulla sua figura sbiadita dall’“effetto camaleonte”; solo alla fine indugia sulla figura intera del nemico e su qualche sparuto primo piano (con e senza maschera), quando ormai siamo allo scontro “uno contro uno” con il mastodontico protagonista.In un overdose di testosterone e fumo di sigari, c’è sempre spazio per un personaggio femminile, a patto che sia graziosa: Anna (Elpidia Carrillo), viene fatta prigioniera dal gruppo. È un’impavida guerrigliera, salvo poi crollare in stato di shock e anelare la protezione dei soldati americani quando vede la “selva animarsi” dinanzi ai suoi occhi.
Mentre ormai si confondono gli scenari (la classica “repubblica di Bananas” inizia ad assomigliare sempre più al Vietnam) e c’è spazio anche per un po’ di propaganda reaganiana (il commando “fredda” due “consiglieri sovietici”, che chiaramente non erano lì in vacanza), il Predator viene ferito al braccio e perde copiosamente sangue fosforescente. E visto che “se può essere ferito può essere ammazzato” (stando a Dutch, che si distingue per riflessioni simili) c’è speranza almeno per il protagonista.
Dutch cerca di soverchiare la catena alimentare, trasformandosi da preda in predatore (monterà una serie di trappole rudimentali, non molto efficaci a dirla tutta). Ma ad un tratto apprendiamo casualmente che la “criptonite” dell’alieno non è altro che del comunissimo fango: il protagonista dai muscoli ipertrofici, incatramatosi (il machismo è alle stelle), sparisce alla vista termica del predatore, e riesce a salvarsi dai suoi artigli e dal fucile laser che ha sulla spalla.
Non resta che sbarazzarsi di lui, si direbbe; ma il nemico non ci sta ad andarsene in silenzio e si fa saltare in aria, costringendo Schwarzenegger ad un classico del cinema d’azione: scatto fulmineo e salto scomposto con conseguente poderosa deflagrazione alle spalle. Titoli di coda.
Rilassiamoci un istante, con una curiosità: ben 3 attori di questo film sono stati candidati alla carica di Governatore negli Stati Uniti. Andò male solo ad uno dei tre, Sonny Landham, in Kentucky: non ebbe la nomina dal Partito Repubblicano e, quando nel 2008 sembrava ormai fatta (nelle file del Partito Libertarianista), ha visto sfumare la candidatura in seguito ad una sua pesante dichiarazione contro il mondo arabo (parlò di “genocidio”). Confermati invece Jesse Ventura (con un passato di Wrestler, alle spalle) in Minnesota con il Partito Riformista e, ovviamente, Arnold Schwarzenegger in California, per i Repubblicani.
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