Il mondo torna ad avere il suo Buon Dottore. No, Asimov non è risuscitato. Ma in compenso, sbarcato da un TARDIS completamente nuovo (per chi non lo sapesse, la sigla sta per “Time And Relative Dimension In Space”, ma a noi italioti piace anche pensare che stia, semplicemente, per “tardi”), o più prosaicamente dall’Inghilterra di cui è figlio, Doctor Who è alla sua undicesima reincarnazione. The Eleventh Hour, l’undicesima ora, è non a caso il titolo del “pilot” della nuova stagione del dottore più longevo del piccolo schermo.
Frutto di una scommessa iniziata nel 2005 – quando, dopo più di quindici anni di silenzio, Doctor Who ritornava in televisione a opera del produttore Russell T Davies -, la nuova serie è ora alla sua quinta stagione con un dottore nuovo di zecca. Uscito di scena Davies, l’opera è passata intanto nelle mani di Steven Moffat che già dal primo episodio di questa stagione ha voluto chiarire il suo punto di vista.
Moffat, del resto, non è certo il primo venuto. Scozzese di nascita, britannico d.o.c., dopo aver lavorato a diverse serie televisive di successo come sceneggiatore ha visto esaudirsi il suo sogno di scrivere storie per Doctor Who: “Credo di poter dire che la ragione per la quale ho cominciato a lavorare nella televisione è perché ero un grandissimo fan di Doctor Who”, ha spiegato candidamente.
I risultati gli hanno sempre dato ragione: per gli episodi da lui sceneggiati fin dalla prima stagione della nuova serie ha vinto diversi Premi BAFTA (gli Oscar britannici) e ben tre Premi Hugo di seguito, a testimonianza che anche il severo mondo della fantascienza lo ha promosso a pieni voti. Ciò nonostante, Steven Moffat non ha avuto timore a rompere i precedenti schemi, a partire proprio dalla scelta del protagonista.
“Dicevo a tutti che non potevamo avere un Dottore di 27 anni. La mia idea era di una persona che andasse tra i 30 e i 40 anni, giovane abbastanza da correre ma vecchia abbastanza da apparire saggia. Poi, naturalmente, Matt Smith è entrato dalla porta per il provino”. Per Moffat, Smith era strano abbastanza da essere il Dottore perfetto. O meglio, l’undicesimo miglior Dottore possibile. Anche la scelta della Companion, la spalla femminile del Dottore, ha alla fine stravolto tutti gli schemi. Karen Gillan “era esattamente adatta per il ruolo, a dispetto del fatto che impersonasse Amy Pund in un modo abbastanza diverso da come avevo inizialmente scritto la parte”, ha ammesso lo sceneggiatore. Eppure, l’alchimia tra i due ha subito dimostrato di funzionare perfettamente.
Originalità e tradizione sono gli ingredienti di questa quinta stagione. La ricetta?
“Non ho fatto niente di diverso dal solito, almeno non deliberatamente”, ha spiegato Moffat. “Ho solo provato a pensare a tutte le migliori e più folli storie di Doctor Who che avrei voluto vedere, e a realizzarle”.
I numeri gli hanno dato ragione. La prima puntata è stata accolta con un trionfo di audience in Gran Bretagna, dove è stata trasmessa il 3 aprile sulla BBC1. Il totale di spettatori ha superato gli 8 milioni. Anche la critica internazionale ha applaudito il lavoro di Moffat nella sceneggiatura di questo "pilot", e si scommette già in nuovo premio Hugo.
Spiegando quale, a parer suo, sia il più importante ingrediente della serie, Moffat ha rivelato: “Penso che sia fondamentalmente vitale per Doctor Who il restare nella sua essenza un programma per bambini. Che non escluda gli adulti, ma che li accolga. Ma quando Doctor Who funziona veramente, quando davvero riesce, l’intero pubblico è sugli otto anni… quale che sia la loro età effettiva”. Una dichiarazione d’intenti sorprendente. In effetti, nell’arte di Steven Moffat, c’è un approccio alla fantascienza delicato e quasi favolistico. I toni anche più dark della serie hanno il solo scopo di stupire, che è l’essenza stessa di Doctor Who. Fortemente influenzata dal lavoro di Tim Burton, che Moffat cita tra le sue ispirazioni, la serie recupera un sense of wonder che, fin dal 1963, è alla base del suo successo.
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