Ciò che resta dagli anni novanta in poi sono un’incursione dei fratelli Vanzina nella parodia della saga di Ritorno al futuro, con il cinepanettone A spasso nel tempo del 1996, affidato all’allora inossidabile coppia Boldi-De Sica. C'è poi l’oscuro rifacimento di Navigator, discreto film adolescenziale degli anni ottanta, ad opera di Camillo Teti (Il navigatore dello spazio del 1993); nel 2004 Teti, in compagnia del figlio d’arte Viktor Rambaldi, recupera un po’ terreno con il film sci fi d’animazione Yo-Rhad – Un amico dallo spazio. Infine il cervellotico psicothriller Rewind, coproduzione italo-francese del 1998 su un terrorista al quale si legge la memoria per scoprire il mandante di numerose stragi, firmato da Sergio Gobbi e interpretato da Raoul Bova e Luca Zingaretti. Ognuno di questi tentativi, con tutti i difetti e le mancanze che si portano dietro, sono stati utilizzati per dimostrare la tesi che il cinema di fantascienza italiano non esiste, non può esistere e, qualora lo si volesse far esistere per forza, andrebbe inevitabilmente incontro al fallimento commerciale. Che è un po’ come dire, assaggiando i piatti dei numerosi autodidatti della cucina, che in Italia non possono esserci grandi chef. Ma grandi chef non si nasce, ci si costruisce con il tempo e con i mezzi; analogamente, se un’interpretazione della fantascienza made in Italy può esserci, deve essere messa in condizioni di nascere e svilupparsi. La tesi sopra sostenuta è di fatto un circolo vizioso: poiché non si crede nel ritorno economico del cinema sci fi non si investono risorse nella realizzazione e nella promozione, i pochi film che vengono fatti soffrono così di carenze strutturali che ne impediscono proprio il ritorno economico, rafforzando la tesi iniziale. È l’eco dell’anatema lanciato ormai quasi quarant’anni fa da Fruttero e Lucentini a proposito della letteratura, e che si è propagato anche attraverso lo schermo.
Dal passato al futuro
Una possibile interpretazione, anche se maliziosa, dello stato delle cose non può che partire dall’inizio, ovvero dal valore culturale del cinema tout court inserito nel contesto della nostra società. È opinione diffusa che in questi ultimi decenni il livello culturale complessivo del nostro paese si sia abbassato. Di tutto ciò il cinema ha subito l’influenza a causa della sua debolezza strutturale, laddove in altri periodi ha dato invece impulso alla crescita complessiva degli italiani (è sufficiente ripensare al neorealismo). Al giorno è difficile trovare film che si discostino dalla categoria della commedia più o meno leggera, affidata al solito attore d’esperienza o al seppur bravo comico televisivo di turno; oppure non legati al filone intimista-esistenziale, in cui generazioni di trentenni-quarantenni si dibattono in perenni crisi di identità socio-emotiva. Insomma, è difficile trovare film coraggiosi in senso artistico, in grado di andare oltre questo dualismo per creare nuove categorie e altri modelli; ce ne sono, ma sono rari. Perché poi la fantascienza, in un certo senso, “spaventa”? Proprio per la capacità, intrinseca nel genere, di superare le categorie concettuali comuni e immaginare “altri” insiemi (di idee, di valori, di costruzioni sociali), con i quali confrontarsi. Un film fantascientifico, se fatto bene, è in grado di stimolare negli spettatori un doppio livello di lettura: uno più superficiale, nel quale vengono mostrate direttamente le alternative futuribili allo status quo; un altro più simbolico, nel quale lo spettatore è chiamato a decodificare il messaggio del film, a sviluppare un ragionamento su scenari di possibilità, a chiedersi se la realtà in cui vive è davvero l’unica possibile. Forse è proprio questo ciò che inquieta della fantascienza: in un’epoca come la nostra, in cui il modello dominante, dettato da ragioni consumistiche, è quello di un perenne presente, il cinema non ha fatto che adeguarsi a una linea di tendenza imposta da altri media, primo fra tutti quello televisivo. La fantascienza induce in qualche modo a pensare a un futuro diverso. E a pensare, in generale; attività questa non priva di rischi.
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