Un caso a parte è costituito da L’ultimo uomo della Terra, coproduzione italo-americana del 1964 che porta per la prima volta sul grande schermo il famosissimo capolavoro di Richard Matheson, Io sono leggenda. Pur perdendo la parte relativa all’analisi scientifica che spiega il tramutarsi della popolazione in vampiri, cosa di cui lo stesso Matheson si lamentò, il film si disfa del retaggio della commedia per indossare il vestito del dramma umano, non privo di qualche vena critica che pure nel romanzo era più marcata. Molti mettono in dubbio l’effettiva italianità del film a partire dal regista che compare nei credits, il semisconosciuto Ubaldo Ragona, che avrebbe fatto da collaboratore al vero regista, l’americano Sidney Salkow; ciononostante il film è a tutti gli effetti una produzione italiana, meno fantascientifica e più dark nelle atmosfere grazie anche alla gigantesca presenza di Vincent Price, che rende il tormento dell’unico sopravvissuto umano probabilmente meglio di quanto faranno fatto i suoi pur bravissimi successori nei vai remake, Charlton Heston e Will Smith. Inoltre la fantascienza angloamericana analizza estesamente le possibilità del progresso e dell’espansione scientifica che seguono passo passo l’evolversi del programma spaziale. In Italia invece, pur con tutto l’entusiasmo generato dalla corsa allo spazio culminata con l’allunaggio del 1969, la fantascienza cinematografica resta ancorata a terra, elaborata dalla nostra cultura senza però farsene influenzare: tanto che persino le incursioni nel genere del principe della risata nostrana, alias Totò, con Totò nella luna del 1958, e del duo Franchi e Ingrassia con I marziani hanno dodici mani del 1963, con il loro aspetto totalmente parodistico, hanno più successo delle pellicole che almeno la fantascienza provano a raccontarla con tutte le sue problematiche. Come fa a esempio Marco Ferreri nel film a episodi del 1965 Marcia Nuziale, nel quale Ugo Tognazzi trova conforto a una società totalmente disumanizzata sposando una donna robot.Negli anni della contestazione e della successiva crisi economica e sociale, il cinema italiano accentua la differenza tra le dimensioni sociali e di costume. Così, accanto a pellicole dalla critica sociale molto marcata come H2S del 1968 di Roberto Faenza, La ragazza di latta di Marcello Aliprandi del 1970, in cui si narra la ribellione contro una gigantesca multinazionale che tutto controlla, e N.P. – Il segreto di Silvano Agosti del 1971, la commedia all’italiana irrompe pesantemente in Conviene far bene l’amore di Pasquale Festa Campanile, film del 1975 nel quale si immagina, in un futuro preda della crisi energetica mondiale, l’Italia diventare potenza energetica grazie all’invenzione di uno scienziato (Gigi Proietti) in grado di trarre energia dall’amplesso umano. Più intimista e crudele è I viaggiatori della sera, racconto distopico di un mondo che mette al bando gli ultracinquantenni ritenuti inutili, diretto e interpretato da un bravo Ugo Tognazzi insieme a Ornella Vanoni.
Il disimpegno avventuroso
Si arriva così al fenomeno che ha impostato il percorso della fantascienza cinematografica moderna, cambiandolo per sempre. Dopo gli anni cinquanta dell’avventura scientifica e il decennio a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, dominato invece dalle tematiche sociologiche e politiche, la fantascienza cinematografica made in USA scopre l’avventura pura di Star Wars, grazie all’avvento di un ragazzotto fino ad allora semisconosciuto. George Lucas impone al mondo la sua visione fortemente intrisa di elementi fantastici e favolistici, potenziata grazie a un uso massiccio di effetti speciali; non che fino ad allora non si fossero usati, anzi, ma è con l’arrivo di Lucas che diventano colonna portante della narrazione. Da lì in poi nasce un filone che prosegue fino ai giorni nostri, in una gara all’effetto visivo più stupefacente che ha fatto gioco alle major hollywoodiane, permettendo loro di mantenere e consolidare il predominio mondiale nell’industria cinematografica. Anche perché il continuo e invasivo utilizzo di tecnologie prima materiali, e poi basate sulle elaborazioni digitali, anziché diminuire i costi dei film li ha costantemente dilatati, mettendo fuori gioco cinematografie dai mezzi più contenuti, come quella italiana, già in condizioni di cronica carenza di fondi destinata ad aggravarsi nei decenni successivi.
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