La fantascienza, ricordiamolo, è un genere che implica codici particolari, non presenti in altri tipi di letteratura. Contemporaneamente al tuo invio delle domande, leggo sul sito di Locus le anticipazioni di quanto scrive nel numero di marzo Samuel R. Delany, scrittore fondamentale che pur essendosi allontanato negli ultimi decenni dalla SF e dal fantastico continua a prestare al genere la sua attenzione di critico e promotore. Scrive Delany, riferendosi alla sua attività di insegnante di creative writing: “Sono una di quelle persone che ai ragazzi che vogliono scrivere science fiction, e si dimostrano incompetenti a farlo, continua a dire: ‘Perché prima non scrivete qualcosa di più semplice?’” A differenza della narrativa realistica (“di genere” o “letteraria”), l’argomento della SF non è lo scavo di un personaggio ma la costruzione, di volta in volta, dell’intero universo in cui si muove. Il personaggio e la trama sono due dei veicoli con cui l’autore delinea quel mondo: “Scrivere buona science fiction è più complesso e difficile di una descrizione, relativamente semplice, di una persona che una mattina si alza, si fa un caffè, va al bagno ed esce di casa”. Ma appunto questo sembra scatenare automaticamente i riflessi culturali negativi dell'alta cultura: “Dalla mia posizione, vedo i resti – osiamo dire le spoglie? – del Modernismo protetti in un modo che non mi pare così produttivo”. Anche in Nordamerica, la crisi dell’editoria sembra legittimare gli arbitri del gusto a una marginalizzazione ancor più esacerbata del fantastico: “Quella attuale non è una situazione sana per tutta la scrittura. Non è sana per la science fiction, non è sana per nessuno. A New York saranno rimasti cinque editori, e 25 anni fa ce n’erano 79! Dunque quando parliamo di editoria ‘commerciale’ versus ‘artistica’, usiamo un lessico fatto di avanzi. Continuiamo a guardare il mondo attraverso lenti forgiate nel 1955”.
Un aneddoto personale: qualche anno fa, chiamato da un corso di dottorato a Roma per parlare di Gibson, chi mi introduce inizia parlando di una SF che avrebbe meritatamente raggiunto un’accettazione istituzionale; io cerco invano di nascondere uno sguardo perplesso e a lezione terminata cerco di dare una spiegazione. Ma ovviamente entrambi abbiamo ragione: in corsi e tesi di laurea o dottorato, l’attenzione accademica esiste (e per il progetto di Anarres, spero di poterti dare presto buone notizie a te e ai lettori di Delos… ma per ora mi fermo qui). Invece, molto – certo, non tutto – del panorama “militante” si sta dimostrando meno lungimirante. Possiamo solo andare avanti per la nostra strada. Insistere, insistere, insistere, con professionalità.
Non c’è dubbio che il Connettivismo è stato il movimento che negli ultimi anni, proprio in seno alla science fiction italiana, ha smosso un po’ le acque con il manifesto, le antologie tematiche e le vittorie al premio Urania di Giovanni De Matteo e Francesco Verso. Qual è il tuo giudizio sul movimento e quale apporto culturale ha dato, a tuo avviso, alla fantascienza italiana?
A questo punto, credo che la mia opinione sia evidente, anche al di là della mia partecipazione al sito Next-Station. A partire dai tre fondatori (De Matteo, Battisti e Milani) il gruppo dei connettivisti – e la varietà degli approcci della narrativa e della saggistica mi obbliga felicemente all’uso del plurale – si è posto programmaticamente l’obiettivo di rifiutare quelle gerarchie canoniche che hanno marginalizzato la SF e il fantastico, la tendenza dominante che considera intrinsecamente il moderno, la cognizione scientifica e la tecnologia come fonti di disperazione e alienazione e non terreni di conflitto. Invece di apocalittici e integrati della rivoluzione mediatica, non solo la fantascienza ma tutta la cultura e la società di questo paese hanno bisogno di codici che aiutino ad affrontare, immaginare il futuro in maniera critica, ponendosi domande, delineando incubi e speranze. Triangolando fra forme letterarie e visuali, i generi popolari e soprattutto quelli fantastici si dimostrano i più adeguati a raccontarci il nostro presente e il nostro futuro. Fra l’altro, i saperi legati alla nostra società postindustriale stanno creando nuove figure di lettori potenziali, con nuovi background che li rendono fruitori delle nuove forme di scienza e cultura: altrove, è questo il bacino di chi legge SF. Di questi cittadini informati in cerca di riflessione e intrattenimento, i connettivisti cercano di essere un primo nucleo.
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID