Insomma sì, esiste una storia italiana “segreta” della fantascienza e del fantastico, fatta di originalità oppure di onesto (lo considero il migliore dei complimenti) mestiere, che spesso dimostrava la capacità di declinare con originalità i linguaggi scoperti leggendo riviste e autori non ancora tradotti, e una sensibilità pienamente in sintonia con il meglio del fantastico internazionale. Oltre ad Aldani e Sandrelli che non sono più fra noi, o a Malaguti, Miglieruolo, Pestriniero, Curtoni, Catani che continuano a scrivere, c’è molto da riscoprire: non solo romanzi ma anche racconti da riunire in antologie personali, tematiche, o di riviste storiche. Contro la damnatio memoriae, possiamo solo opporci con l’evidenza della memoria storica.
La collana Odissea della Delos Books, di cui tu tra le altre cose scrivi le prefazioni ai volumi, ha cominciato da un po’ di tempo a pubblicare autori italiani: Stocco, Vernier e ora i due premi Odissea, Clelia Farris e Paolo Lanzotti. Questi autori sono stati pubblicati accanto a scrittori che anno vinto il premio Hugo o il Nebula. Eppure, in libreria, la fantascienza in generale è quasi assente, sopraffatta da altri generi come il fantasy e il noir, in cui anche gli autori italiani trovano ampi spazi e consensi. Perché, secondo te, la fantascienza, in generale, sembra far fatica a imporsi come genere in libreria, con una sua identità precisa? E quanto questo fatto incide anche sulla fantascienza scritta da autori italiani?
Potrei parafrasare il tuo spunto dicendo: in questo momento c’è poca SF italiana in libreria perché c’è poca SF. Allora in un certo senso la risposta è implicita, anche se da qualche anno (proprio con l’esordio di Odissea) c’è stata una lieve inversione di tendenza. La SF italiana amplierà il suo spazio insieme all’ampliarsi dello spettro dell’offerta fantascientifica. Mentre con forza sempre maggiore l’identità editoriale di Urania e Odissea (come, per la sua breve storia, la Nuova Galassia di Armenia, se mi consenti una divagazione personale) diventa l’attenzione al panorama internazionale contemporaneo, maggiori spazi si aprono anche per autori e autrici nostrane. Dunque, voglio vedere il bicchiere mezzo pieno anziché mezzo vuoto: il moltiplicarsi degli stimoli di lettura non potrà che moltiplicare gli spunti di scrittura. Questo sarà il primo passo: il successivo, come sempre, sarà la possibilità di trasformare spunti e stimoli in carriere professionali.
Una delle critiche che spesso viene mossa agli scrittori italiani è quella di non aver, generalmente, trovato una “via italiana alla fantascienza”, ma di aver sempre avuto come modello quella americana o di lingua anglosassone. È così? E secondo te che cosa si dovrebbe intendere per via italiana alla fantascienza?
Assolutamente nulla. Non esiste niente che renda una storia di SF più o meno “autenticamente” italiana. È totalmente assurdo postulare tratti nazionali a priori, e dunque presupporre disquisizioni sulla maggiore o minore purezza nazionale di un’opera. Questo – e i motivi, permettimelo, sono innanzitutto di ordine civico – vale sempre, ma vale ancor più in un presente che, fra i suoi tanti difetti, sta almeno diventando sempre più cosmopolita, aperto alle differenze. E la cultura di massa e popolare è ormai da decenni il più creativo teatro di queste globalizzazioni che sfuggono al controllo di chi vuole separarci in etnie e provincialismi: musica, cinema, serie tv, video, fumetti, cartoni, giochi, letteratura.
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