A metà degli anni Novanta è esploso il fenomeno Valerio Evangelisti, che con la vittoria al premio Urania con il primo romanzo dedicato all’inquisitore Eymerich, è riuscito ad andare oltre l’editoria specializzata. Pochi altri autori hanno fatto il suo stesso percorso, penso per esempio a Luca Masali e Nicoletta Vallorani. Si è trattato, secondo te, di una breve e felice stagione, difficilmente replicabile, o prima o poi l’editoria non specializzata potrebbe “riscoprire” la fantascienza italiana?
Che dovrebbe farlo ne sono convintissimo, e almeno nel caso di Tullio Avoledo (fra i suoi romanzi, il mio preferito resta il più abrasivo di tutti, Lo stato dell’unione) lo ha fatto, ma senza determinare un’apertura alla SF. Sulla scia – diretta o indiretta – dell’avvento del cyberpunk in Italia Evangelisti, Masali e Vallorani (insieme a Mongai, Proni e altri) dimostrarono la varietà del loro background di lettori di SF e altro. È mancata, come sempre, un’attenzione sostenuta verso il genere, che gratificasse la loro scrittura in quanto fantascienza: l’unico modo per avvicinare alla SF nuovi lettori. Da solo, senza la promozione di una pluralità di voci, l’emergere di figure di qualità come Evangelisti o Vallorani (che infatti venivano da lontano) non può dar vita a una scena letteraria. Questa è la lezione che il fantastico deve imparare dal giallo-noir.
La Elara Libri con le sue collane sta riscoprendo la fantascienza italiana classica, ripubblicando corposi volumi di narrativa, dei veri e propri “meridiani”di scrittori come Catani, Falessi, Pestriniero, Miglieruolo, Bellomi e altri, oltre all’opera omnia di Lino Aldani. Anche Urania Collezione della Mondadori sta ripubblicando alcune opere classiche, come Caino nello spazio di Sandro Sandrelli e romanzi di Roberta Rambelli, Miglieruolo e Aldani. Quanto è importante riscoprire anche i classici della fantascienza italiana?
Aggiungo le riedizioni su Urania di opere di Zuddas e Prosperi, altri “recuperi” delle Edizioni della Vigna, e nel racconto le rubriche curate da Vittorio Catani per Robot e Delos. E non vorrei tralasciare il lavoro di scavo sulla “preistoria” fantastica (italiana e non solo) di Giuseppe Lippi, Fabrizio Foni, Claudio Gallo, Gianfranco de Turris, Riccardo Valla.
Per tanti anni, l’establishment culturale italiano ha marginalizzato quasi tutto ciò che sfuggiva ai canoni del naturalismo (con l’occasionale eccezione di alcuni autori d’avanguardia): ricostruirne le dinamiche è uno dei compiti principali degli storici della cultura italiana. Per fare un paio di esempi: un recente libro (Massimo Bucciantini, Italo Calvino e la scienza, Donzelli 2007) ha raccontato le vere e proprie aggressioni subite da Calvino dopo le Cosmicomiche; ed è nota la freddezza con cui furono accolti i racconti fantascientifici di Primo Levi. È casuale che proprio questi siano i contemporanei italiani di maggior fortuna all’estero? Ecco, il fantastico ci allontana dalla dimensione provinciale: credo sia proprio questo a spaventare.
Ora qualcosa sembra cambiare. Ma spesso ci si limita allo strano, al grottesco, all’inquietante. Manca ancora un vero e proprio passo di apertura al fantastico: quella letteratura che trasforma in mondi le suggestioni dell’ineffabile. Anche senza disturbare i futuristi, ha senso una storia letteraria del primo Novecento italiano che trascuri Landolfi, Palazzeschi o Bontempelli? O che dimentichi le non casuali incursioni fantascientifiche di figure come Anna Banti, Dino Buzzati, Luce D’Eramo, Mario Soldati e altri? Mentre tante opere finiscono giustamente nel dimenticatoio, questi libri continuano a essere letti e studiati, come lo sono Enna o Scerbanenco nel giallo, come andando indietro nel tempo lo sono Salgari e Collodi.
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