Paolo LanzottiSe parliamo di "stato di salute" la questione va considerata, credo, da due punti di vista diversi: la qualità del prodotto e la situazione editoriale. Per ciò che ne posso sapere io, la qualità della sf italiana non è affatto scadente. Anzi. Il mio "osservatorio" è molto limitato e potrei sbagliare, ma mi sembra che il genere abbia raggiunto, da tempo, una sua dignitosa maturità anche nel nostro paese. Per quanto riguarda la situazione editoriale, la questione è del tutto diversa. Non mi va di ripetere le geremiadi di sempre. Mi limiterò quindi a una domanda. Oggi come oggi, a parte Delos Books e, se vogliamo, Elara, ex Perseo (che però non è presente in libreria e quindi appartiene a una dimensione spazio-temporale aliena) cosa c'è, nel panorama italiano? A chi si può rivolgere il temerario autore di sf, dopo aver messo la parola FINE a un romanzo costato alcuni anni di fatiche e/o tormenti? Mi guardo bene dal tediare chiunque stia leggendo con una risposta scontata. In quanto poi a cosa si dovrebbe fare per avvicinare la sf al grande pubblico, temo che la questione rappresenti una palese contraddizione in termini. Che io sappia la sf è sempre stata un genere di nicchia, poco capito, poco apprezzato, poco frequentato. Quando ho cominciato a scrivere io (due, o tre millenni fa) quasi mi vergognavo di confessare che scrivevo quella roba. Nove volte su dieci l'ammetterlo (arrossendo) significava essere automaticamente inclusi nella categoria "scribacchini, alcolisti, perdigiorno e adolescenti sognatori". Oggi le cose sono un po' cambiate, ma (temo) meno di quanto sembri. Apparentemente il cinema ha dilatato a dismisura il pubblico della sf. Nella realtà, un film come Avatar ha attirato nelle sale milioni di spettatori anche in Italia, ma non mi sembra che abbia fatto vendere milioni di romanzi. Per non parlare poi della confusione indotta negli sprovveduti. Io ho faticato le proverbiali sette camicie per far capire ai miei alunni (13/14 anni) che Henry Potter non è sf ma fantasy. E non sono per niente sicuro che abbiano colto la differenza. Se neppure a sua maestà il cinema riesce il miracolo di avvicinare il grande pubblico alla libreria, cosa potremmo fare noi? Ovviamente spero tanto (ma proprio tanto) che le mie siano considerazioni da vecchio rimbambito senescente deluso dalla vita e che qualche giovane autore possa smentirmi, spernacchiandomi.
La mia impressione, riguardo allo stato di salute della fantascienza italiana, è che non sia molto florido. Più che altro vivacchia, riemergendo occasionalmente dal torpore grazie agli exploit di autori come Evangelisti. Mi pare, in realtà, che in questo paese non ci sia mai stata una grande “cultura” della fantascienza, e che l’editoria sia la prima a non credere nel genere, trascurando o non pubblicizzando adeguatamente gli autori italiani, e concentrandosi su nicchie di appassionati che, per forza di cose, non faranno mai grossi numeri in termini di vendite. Per far uscire il genere dall’ambito delle case editrici specializzate e raggiungere un pubblico più vasto, a mio avviso, sarebbe necessario innanzitutto coltivare i lettori fin da ragazzini, cioè abituarli a leggere, e a leggere di tutto, senza pregiudizi. La fantascienza italiana, oltre che della forte esterofilia dei lettori, soffre del preconcetto di fondo che vede questo tipo di narrativa come cervellotica, per 'nerds', oltre che ‘da maschi’. Per sdoganarla, occorrerebbe forse iniziare a eliminarne l’'etichetta'. Dopotutto, i fumetti sono da sfigati, ma i graphic novel sono colti e trendy. Allora, perché non sostituire il termine ‘fantascienza’ con qualcosa che non spaventi i lettori? Se presento i libri del Sicario come fantascienza, è facile che mi senta dire “io non leggo quella roba”. Ma se li definisco fantanoir, noir futuristici, o thriller ambientati nel futuro, la reazione è diversa.
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