Puntando dritta a Lagora, ricorda quei boschi com’erano un tempo, quando lei e Francesco erano due ragazzini e se ne fottevano alla grande della recessione economica e delle derive secessioniste del Governo italiano. I monti e i boschi erano humus per i sogni, reso ancora più fertile da una pioggia di sangue fratricida che lì si era abbattuta parecchi anni addietro. Mai avrebbero immaginato potesse piovere ancora. Lo aveva sempre aspettato, Francesco. Aveva messo da parte prima i suoi studi, poi un comodo impiego al catasto elettronico di Bologna. Aveva pure intravisto, per un breve periodo, la possibilità di una stabilità familiare quando lui s’arruolò nell’esercito federale. Una pura illusione. Francesco veniva da una famiglia di partigiani. La sua di famiglia, invece, non aveva niente a che fare col CLN, né col vecchio, né col nuovo. Ma lo aveva seguito lo stesso. Soprattutto dopo aver sfiorato il vuoto che abitava l’anima di quell’uomo costretto a stare nel plotone d’esecuzione incaricato di giustiziare i suoi genitori. S’era così donata anima e corpo alla causa del Comitato, credendo di poter guarire le ferite dell’uomo che amava, con una dedizione sovrumana, giorno dopo giorno. Fino a oggi, alla vigilia di una missione che si annuncia potenzialmente suicida.

Dopo aver preso il supporto fisso con le stringhe e ricevuto gli imbocca al lupo dei compagni di Bologna, per tutto il tragitto di ritorno non fa altro che ripetersi, in forme, parole e immagini diverse: – Meritiamo un futuro diverso, un futuro migliore, Cristo.

 

                                ***

 

Francesco vaga per la stanza. È nudo, la pasta salina gli si è seccata di nuovo addosso. Ogni volta che prova ad anticipare i tempi, a farla finita con questa storia, un briciolo di buonsenso gli suggerisce di aspettare l’ora stabilita. Ha freddo, è nervoso. L’uovo del Cast è là, guscio sintetico, anima di bio-cavi come carne viva.

Vieni occhi di fluoro, vieni al tuo lavoro.

L’uovo gorgoglia, mormora, lo chiama a sé.

Rubarlo all’RFN era costato immensi sacrifici di uomini e risorse. Anticipare i tempi potrebbe significare mandare all’aria tutto, ma la connessione è una tentazione troppo forte per essere ignorata, per uno che ne è fuori da tempo.

Applica la pasta salina nei siti esatti di interfaccia – testa, petto, pene – apre il portello e lascia che i cavi del Cast facciano il loro lavoro. Quando il mondo attorno scompare, proiettandolo in un’autostrada neurale di dati, Francesco smette di respirare per diversi secondi. Non c’è più abituato: i mesi passati lontano dalla connessione e a stretto contatto con la miseria e i bisogni primari della sopravvivenza, giù in Bassitalia, hanno contribuito a seppellire, a nascondere i livelli consci di sublimazione necessari a un surfer addestrato. Abbandonare ogni legame col mondo reale, morire, in un certo senso: è questa l’essenza del viaggio col Cast.

Anfratti della Rete. Spazi angusti, pericolosi.

Un ganglio di comunicazione criptato: oscuri riti e formule, simbologia occulta: blocchi di granito, simili a una piramide, ai cui piedi si muove un uomo sulla frontiera d’ombra, il volto nascosto, nelle mani stringe una pistola. È qualcosa che gorgoglia nelle tenebre di un universo olografico indotto. Un’anomalia vitale nel suo profilo, una specie di malattia sconosciuta, non autodiagnosticabile.

Galleggia all’entrata del suo mondo virtuale.

Non dovrebbe essere così, affatto.

Un vuoto d’angoscia.

Quell’anomalia: qualcosa che non dovrebbe esistere. Grossa cazzata connettersi prima del tempo stabilito, almeno fino a quando non riuscirà a chiarirsi le idee assieme a Bice, che è un tecnico esperto.

Così schizza fuori dal Cast, senza dargli il tempo di completare la disconnessione. Inciampa, finisce faccia a terra.

La sua coscienza rigurgita immagini che si scontrano, totem di realtà diverse e confinanti.

Odori tra pieghe pelle. Cavità e angoli morbidi tra seno e clavicola. Gocce di sudore su una palpebra.

Meglio, cento volte meglio dimenticarti già da ora.

Al suo ritorno, Bice lo trova ancora faccia in giù, nudo e scosso dai brividi.

– Cosa cazzo credevi di fare?

 

                                ***

 

Armando ha appena lasciato la locanda a Roncobilaccio. Il mondo devastato davanti ai suoi occhi scompare per lasciare posto a un’eruzione di dati scintillanti che si fondono in simboli chiari: la squadra e il compasso, un occulto che non nasconde un bel niente, ma è la corazza stessa del Potere. – Hai fatto una vera e propria carneficina.

– Me ne rammarico, Maestro.

– Del tuo dispiacere non ce ne facciamo nulla, Gunman. Rapporto.

– Un covo di predoni. Probabile collusione col Comitato.

– La tua missione è un’altra. I massacri li programmiamo noi e solo noi.

– Lo so.