Miller adopera interessanti costanti narrative per raccordare le storie. Oltre alla Chiesa, che è ben più di una soluzione di legame, riscontriamo in tutti e tre i racconti la figura dell’ebreo errante (simbolo dell’intero popolo ebraico, delle reminiscenze del vecchio testamento e dell’aspettativa messianica) e le poiane, forse tese a simboleggiare l’incedere inarrestabile del tempo (curiosità: nella versione originale si parla di generici vulture; le poiane, tra l’altro, non vivono nel continente americano).
Fiat Homo è considerato il racconto dotato di una struttura più solida e di più intenso spessore. La trama, in prima battuta, risulta assolutamente bizzarra: in un desertico Utah post-apocalittico, un sacerdote novizio scova un incomprensibile schema elettrico all’interno di un rifugio anti-atomico in rovina. Questo documento finirà per comprovare la santità di Leibowitz, un fisico ebreo morto secoli prima e divenuto, inconsapevolmente, il simbolo di un nuovo rinascimento.
Assistiamo ad una vera e propria rilettura biblica degli ultimi secoli: l’umanità è sopravvissuta al “Diluvio di Fiamma” (l’olocausto nucleare). Nella successiva “Era della Semplificazione” masse inferocite di Simpleton (o semplicioni) hanno sterminato scienziati e intellettuali credendoli i veri responsabili del Diluvio. "Il furore” scrive Miller “era rivolto non contro i dotti, perché non ve ne erano più, ma contro coloro che sapevano semplicemente leggere e scrivere". Solo la Chiesa ha preservato la cultura, abbracciando tra le sue file i pochi studiosi superstiti e preservando le reliquie dell’era “prediluviale”. I memorizzatori dell’Ordine Albertiano, ad esempio, imparano a memoria interi testi antichi (il rimando a Fahrenheit 451 di Bradbury, per altro del 1953, è più che evidente), altri ricopiano antichi documenti (persino liste della spesa!), nella speranza che in futuro possano essere compresi.
Invisibili, eppure espressi con disinvoltura e senza eccessiva pesantezza, sono i rimandi alle questioni teologiche che attraversarono l’Europa medioevale. Miller prende a piene mani dalle Confessioni di Sant’Agostino e dal De Imitatione Christi, senza negarsi alcuni assurdi siparietti sui tipici cavilli logici e dottrinali, che riportano alla mente lo splendido racconto I Teologi, dall’Aleph di Borges. Assente è la preoccupazione sulla fine ultima dell’uomo (la cosiddetta “tensione escatologica”), una costante folklorica medioevale e rinascimentale che l’autore probabilmente preferisce disperdere nel dramma della ciclicità, il vero humus dell’ambientazione.
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