Il Prigioniero è una delle serie più cult degli anni sessanta. Nel corso delle decadi successive è diventata un vero e proprio punto di riferimento per tutti coloro che ricercano originalità e atmosfere lisergiche e surreali, grazie allo straordinario mix col quale riuscì a conciliare efficacemente fantascienza, pop art, e controcultura.
Un uomo, Nr. 6, si ritrova inspiegabilmente catapultato nel microcosmo del “Villaggio”, una sorta di non-luogo dove le abitazioni, tutte uguali e angosciosamente simmetriche, fanno da contenitore a esseri umani chiamati e catalogati come numeri in una società labirintica e piramidale dove ognuno è inserito aprioristicamente come ingranaggio di un meccanismo.
Per fugare ogni dubbio va sottolineato immediatamente come questo The Prisoner 2009 non sia un vero e proprio remake, ma una libera interpretazione di quelle che furono alcune linee guida nella serie originale.
Il vecchio fan lo percepisce già dalle prime inquadrature col passaggio dalle verdi colline in riva al mare delle location nel Galles usate per il Villaggio nella serie originale, al torrido deserto rosso delle location in Namibia per la versione 2009, ma in seguito le differenze risulteranno ancor più sostanziali.
In un’opera di questo tipo, basata sui dialoghi e l'introspezione dei personaggi, la bravura degli attori diventa un fattore essenziale, ma solo parzialmente il cast di Prisoner 2009 riesce a soddisfare questa esigenza. Da un lato infatti troviamo uno straordinario Ian McKellen (nell’immaginario collettivo il Gandalf del Signore degli Anelli e il Magneto degli X-Men), nell'interpretazione a dir poco magistrale del ruolo di Nr. 2, dall’altro c’è l’ordinaria e anonima amministrazione offerta dal protagonista, Nr. 6, James Caviezel, che purtroppo qualcuno ricorderà nella parte di Gesù nell’atroce trasposizione cinematografica della Passione di Cristo di Mel Gibson.
Il resto del cast è composto da attori di buon livello, in massima parte inglesi, tra cui spicca Lennie James (l’indimenticato Robert Hawkins di Jericho) nel ruolo del tassista, Nr 147, e il giovanissimo Jamie Campbell Bower (Harry Potter, Sweeney Todd, Twilight) che interpreta 1112, il figlio di Nr. 2.
In America le reazioni a Prisoner 2009 sono state abbastanza fredde, e la cosa non mi sorprende affatto, perché questa miniserie è assolutamente antitetica al gusto e allo standard del prodotto tipico televisivo americano, proponendo un qualcosa cui il pubblico medio a stelle e strisce non è davvero preparato e abituato a vedere nei propri teleschermi. Infatti la struttura narrativa è completamente anarchica, schizoide, lynchana, frammentata, a tratti realmente incomprensibile, con pause e monologhi lunghissimi che lasciano lo spettatore smarrito - a lungo. Intessuti in questo ritmo troviamo temi altamente morbosi e disturbanti quali l’ossessione, la delazione, il controllo psicologico, il soffocamento dell’individualità, la punizione per le intenzioni, l’omogeneità totalizzante e la manipolazione delle emozioni.
L’unico modo possibile per comprendere ed apprezzare questo telefilm è quello di intenderlo come una sorta di flusso di coscienza, nel quale non ci si sofferma ad esaminare logicamente ogni singolo aspetto che ci si trova davanti, ma ci si abbandona passivamente allo scorrere della narrazione.
A titolo d’incoraggiamento per gli aspiranti spettatori posso dire che la caparbietà di chi riuscirà a resistere fino in fondo sarà premiata grazie a un finale controverso, e assai poco politically correct, ma che giustifica ampiamente l’anarchia narrativa vista sino a quel momento.
Elitario.
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