Moon è il titolo del primo lungometraggio che Duncan Jones, primogenito di David Bowie e la prima moglie Mary Angela Barnett, ha realizzato con una produzione indipendente inglese. Il lavoro del giovane regista ha riscosso grandi consensi ai Festival di Edimburgo, Monaco, Ischia e soprattutto al Sundance Festival al punto da spingere la Sony Picture all’acquisto dei diritti per la distribuzione negli Stati Uniti.
La pellicola è pienamente ascrivibile al genere fantascientifico con evidenti riferimenti alla stagione del cinema Sci-Fi degli ultimi anni Settanta e degli Ottanta, con una predilezione per le atmosfere intimiste e claustrofobiche del primo Ridley Scott, al quale l’esordiente inglese s’ispira.
Duncan Jones, che vanta una preparazione culturale di tutto rispetto (laurea in Filosofia presso il College of Wooster), ha dichiarato che la fantascienza si presta molto bene ad affrontare temi universali come le passioni, le debolezze e i vizi dell’umano agire. Calare in un contesto fantascientifico una vicenda umana nuda e cruda, la pone in particolare risalto, universalizzandone i valori etici che ne stanno alla base. In effetti, la vicenda tratta di una situazione e di personaggi del tutto plausibili e ciò rende il film molto coinvolgente a livello emotivo. Si torna insomma a parlare di uomini e donne al centro dell’universo narrativo, d’interrelazioni e intimità prettamente antropica. L’ambientazione fantascientifica del film di Jones – molto discreta, ma non priva di tutto il fascino di una certa scenografia Sci-Fi - fa da cornice a una vicenda quanto mai umana e toccante: la solitudine, la lontananza dalla Terra, dagli affetti famigliari, dagli istinti sessuali. Preoccupazioni e frustrazioni universali e atemporali.
Il cast si compone di Sam Rockwell (Sam), che interpreta il custode di una base mineraria lunare, del computer di bordo (Gerty) con voce affidata a Kevin Spacey, e di alcune fugaci apparizioni di Dominique McElligott (nel ruolo di Tess, la moglie di Sam).
Duncan ha concepito la storia pensando proprio a Sam Rockwell come interprete principale e la scelta è stata felice. Rockwell ha interpretato già molte pellicole di genere fantascientifico: da Galaxy Quest a Guida galattica per autostoppisti e il prossimo anno sarà nei panni del costruttore d'armi Justin Hammer, in Iron Man 2. L’interpretazione davvero eccellente dell’attore californiano - accompagnata da una messa in scena sobria, curata fin nei minimi dettagli e valorizzata dalla bella fotografia di Gary Shaw - contribuisce con grande naturalezza a calare lo spettatore nelle vicende del personaggio. Rockwell - in sostanza l’unico attore in scena per tutto il film - riesce con gran maestria a mettere in scena due versioni di Sam: dapprima è nelle vesti dello stanco e trasandato custode della base spaziale lunare della Lunar Industries Lmt.; successivamente interpreta il suo clone, entrato in scena per prendere le parti del vero Sam, gravemente ferito in un incidente. Tecnicamente difficili sono state le riprese in cui Rockwell doveva interagire con se stesso e il regista ritiene che l’attore americano sia stato fantastico, dando il meglio di sé.
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