Quarant’anni dopo. È il 1994 e il regista Peter Jackson pone nella sua lista dei desideri Il
In realtà Robert Shaye della New Line era caduto, come quasi tutti i lettori dell'opera di Tolkien, in un luogo comune: l'idea del Signore degli Anelli come trilogia. Il romanzo, concepito come un'unica storia, era stato diviso per ragioni editoriali. Jackson probabilmente lo aveva capito prima degli altri perché, invece di realizzare tre film, ne realizzò uno solo diviso in tre parti seguendo esattamente le orme di Tolkien e filmando la “trilogia” senza soluzioni di continuità nell'arco di quasi due anni, con soli piccoli ritocchi tra l'uscita di un film e l'altro. La Compagnia dell'Anello, il primo capitolo, uscì nel cinema nel 2001. Gli incassi furono oltre le più rosee aspettative e il film ottenne quattro premi Oscar: per gli effetti speciali targati Weta, la casa dei miracoli fondata da Jackson come Lucas nel 1977 aveva fatto con la Industrial Light&Magic, per il trucco, la colonna sonora di Howard Shore e la fotografia. Anche il mondo della fantascienza fu conquistato dalla Compagnia dell'Anello, che vinse il premio Hugo come miglior film. Ma cosa avrebbe detto Tolkien se avesse potuto guardare anche lui il prodotto finito? Probabilmente lo stesso Peter Jackson si era posto la domanda quando aveva cominciato a lavorarci su; i precedenti non erano stati eccezionali e la Hollywood contemporanea non avrebbe faticato a trasformare Il Signore degli Anelli in un action-movie come tanti. Invece, guardando il film – e ancora di più la sua versione estesa che ormai è diventata quella definitiva – l’appassionato di Tolkien non può fare a meno di riconoscere agli autori una straordinaria volontà non solo di trasporre fedelmente il romanzo ma di ricreare l’atmosfera, lo spirito, l’essenza più intima dell’opera, quella che Tolkien considerava chiaramente “infilmabile”.
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