È un libro importante, tradizionale e modernissimo allo stesso tempo, Nessun uomo è mio fratello, secondo romanzo di Clelia Farris, vincitrice del Premio Odissea 2008 ex aequo con Kregg di Paolo Lanzotti che verrà pubblicato in questa collana nei primi mesi del 2010.
Per chi legge fantascienza, è familiare la storia del gioco delle parti, il gioco di morte, fra vittima e carnefice: nel 1953, lo raccontava Seventh Victim, il classico racconto di Robert Sheckley divenuto celebre da noi grazie all’inclusione in Le meraviglie del possibile, l’antologia einaudiana di Sergio Solmi e Carlo Fruttero che sembrava aprire alla SF le porte della grande editoria e della dignità letteraria, reso ancora più popolare in Italia da La decima vittima, la versione cinematografica di Elio Petri (1965) con Marcello Mastroianni e Ursula Andress. L’inesorabile meccanismo narrativo rendeva La settima vittima una storia solo apparentemente semplice, in parte satira sulla nascente società dello spettacolo, in parte rivisitazione fantascientifica di un grottesco radicato nell’autoironia letteraria ebraico-americana: un crudele futuro all’insegna di un ritualizzato sterminio a bassa intensità.
L’amaro ritratto di Sheckley continua a riflettersi, in quest’ultimo ventennio, nella violenza e nella durezza che dominano le distopie della SF italiana, a partire da Valerio Evangelisti. Soprattutto, la SF italiana ha imparato che l’alternativa non è fra la scienza-tecnologia alienante e distruttiva, e il rimpianto per l’“autenticità” di un idealizzato mondo premoderno. Nel “nuovo” esistono nuovi conflitti, nuovi modi di perdere e mantenere l’umanità, distopie e utopie, oppressioni e speranze. E allora, ogni SF è bioetica.
In tutto questo, un ruolo importante appartiene alla SF delle donne. Dopo i mondi alieni di Mariangela Cerrino, Gilda Musa e Daniela Piegai negli anni 80, i futuri di Nicoletta Vallorani a partire dai 90, e poi di Enrica Zunić;; (l’intensità e la lucidità del suo Nessuna giustificazione, del 2002, rimangono un modello), Alda Teodorani, Laura Pugno, sono state in prima fila nel raccontarci storie di dolore e sopravvivenza di umanità differenti, che la scienza e la tecnologia le portano dentro di sé.
Torniamo a Clelia Farris. Anche se le trame sono molto diverse, hanno in comune Nessun uomo è mio fratello e il romanzo di esordio pubblicato nel 2005 dalla Delos Books, Rupes Recta (a sua volta vincitore del premio Fantascienza.com): il segno di un’immaginazione sicura, che ha molto da raccontare. Fili condivisi, intrecciati nella tela di un’artista.
C’è l’attenzione sull’interiorità e i sentimenti del protagonista, la sua difesa della propria identità e individualità, plasmata dall’ingegneria genetica. In Rupes Recta, abbiamo il “Ricordante” gay e pacifista perseguitato e ingiustamente accusato dei truculenti delitti di un serial killer nell’insediamento lunare di un Sistema Solare di qualche secolo nel futuro: un personaggio aspro e raffinato, poco conciliante e coinvolto in una doppia caccia all’uomo, per salvare la propria vita (e quella di sua figlia) e per scoprire il vero assassino. In Nessun uomo è mio fratello, abbiamo la scoperta di sé e del suo mondo da parte della Vittima, narratore in prima persona dell’intera storia. Ma trattandosi di romanzi SF e non di realismo psicologico, ancora più importante dello scavo intimo dei protagonisti è che attraverso di loro, con loro, scopriamo l’intricata complessità degli universi in cui si muovono. In questi mondi, in tanta parte alieni, le soggettività di queste umanità future ci costringono a chiederci cosa è naturale, cosa è umano o disumano, morale o immorale, giusto o ingiusto e in che modo questi concetti si possono ridefinire nell’intreccio fra scienza, tecnologia, politica e sentimento.
Ci sono scenari che, in maniera straniante e volutamente incongrua, uniscono avanzatissime innovazioni scientifiche (il tema ricorrente è la manipolazione genetica) e presenze arcaiche. Nel primo, lo stesso ruolo del “ricordante” si basa su un inspiegato rifiuto del computer come archivio di memoria. Nel secondo, abbiamo un mondo mai definito geograficamente, che a giudicare dai nomi potrebbe trovarsi nel Sudest asiatico, ma in cui fanno capolino nomi e vocaboli spagnoli, slavi (nel nome del protagonista riecheggia quello di Enki Bilal, fumettista e regista jugoslavo-francese che conosce molto bene la fantascienza della crudeltà) e sardi. Quanto dell’inumanità di questi mondi deriva dall’avanzamento tecnologico, quanto dagli arcaismi? Il rifiuto di risposte semplicistiche a questa domanda è forse il tema principale di Clelia Farris: forse, il tema principale dei nostri tempi.
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