Girare nelle location di Johannesburg
“Visto che Neill Blomkamp è sudafricano, porta un punto di vista unico a questa storia”, sostiene Peter Jackson. I realizzatori hanno sempre voluto girare District 9 a Johannesburg, in Sudafrica. Mentre la storia avrebbe potuto facilmente essere realizzata in qualsiasi metropoli di una nazione in via di sviluppo, soltanto Johannesburg forniva questa sensazione africana unica che Blomkamp conosce bene e da cui è sempre stato ispirato. “Penso che sarebbe incredibilmente difficile replicare altrove quello che c’è a Johannesburg”, sostiene Blomkamp. “Ci sono talmente tanti dettagli visivi qui, come lo sporco, il filo spinato o l’erba. C’è veramente una grande ricchezza visiva. Perché il film funzionasse, ritenevo ci fosse bisogno di questo livello di realismo e di inquinamento”.
Per lo scenografo Philip Ivey, Tshiawelo e le baracche fornivano una solida base su cui lavorare. “Avevamo tutto, compresi la spazzatura e il ferro polveroso sulle nostre dita”, ricorda Ivey. “Quello che abbiamo fatto è stato comprare le baracche demolite e poi ricostruirle grazie a questo materiale. Questo ci ha risparmiato la ricerca del materiale, ha fornito un aspetto più autentico e ci ha permesso di non sprecare tempo”. Ivey ha anche deciso di coinvolgere come art director Emelia Weavind, che aveva già lavorato nella stessa zona come scenografa della pellicola vincitrice dell’Oscar® Il mio nome è Tsotsi. “È fantastica, rispetta e ama gli abitanti e quindi loro contraccambiano calorosamente”.
“Come sudafricano, quando vai nelle baraccopoli, è veramente emozionante”, sostiene Sharlto Copley. “Non dimentichi mai che questo è un set per te, ma ci sono persone reali in queste baracche. Quando si lavora a Soweto, la gente che sta lì è felice di vederti, perché tu porti un po’ di soldi sul posto mentre giri”.
Le scenografie di Ivey per il film rappresentano un contrasto tra il mondo reale e banale degli esseri umani e quello fantascientifico, eccessivo ed esagerato dei non umani. “Questi due elementi sono spesso in contrapposizione nel film ed è proprio quello di cui tratta la pellicola”, sostiene Blomkamp. “Tutto quello che abbiamo costruito proviene da queste riflessioni”.
Tra il mondo ordinario degli umani e quello bizzarro dei non umani si colloca la tana di Obesandjo. Il personaggio è un re della malavita nigeriana, l’unico legame per i non umani con il contrabbando, ma non è assolutamente benevolo. La sua dimora ha uno stile unico, che rappresenta una moltitudine di diverse influenze africane. Qui Ivey e la Weavind hanno creato un set a diversi livelli che è affascinante ma anche spietato. “Questo spazio ha molti scopi”, spiega la Weavind. “È un bar, una macelleria e un negozio di parti di veicoli a motore, oltre che un luogo dove si pratica la medicina tradizionale e in cui un sangoma (un guaritore Zulu) pratica dei rituali. Lo abbiamo ideato e arredato in modo tale che in ogni parte ci sia qualcosa di interessante da vedere, dalle ossa animali ai barattoli con le creature morte, fino alle scatole di munizioni”.
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