"Ha cercato di aprire gli occhi!
T’yog ha cercato di aprire gli occhi e mi ha guardato!"
H.P. Lovecraft, Out of the Eons
Il crescente contatto fra l’Occidente e le culture cosiddette “diverse” rende estremamente attuale l’impegno etnografico nel comprendere queste alterità.
Il compito dell’etnografia è appunto quello di raccogliere dati su una cultura presa in esame (attraverso, per esempio, l’intervista e l’osservazione partecipativa) che ne rendano possibile la comprensione.
Alla luce di un mondo sempre più multietnico questa disciplina antropologica assume una valenza sociale indiscutibile.
Stabilire un rapporto con un “sistema di significati” a noi non familiare diviene primariamente un problema di “strategie linguistiche”. Nella descrizione etnografica di una cultura “si tratta di costruire un’alterità attraverso le risorse di un linguaggio familiare”1. Per mettere a fuoco la questione può venirci in aiuto la letteratura di fantascienza, nella cui pratica descrittiva possono trovarsi analoghi problemi di “costruzione dell’altro”. “In entrambi i casi – la descrizione etnografica e quella fantascientifica - si tratta di «creare le differenze», di produrre una rappresentazione dell’«alieno» che da un lato ne renda visibile e ne sottolinei la diversità, dall’altro la renda intelligibile all’interno di un sistema di riferimenti familiari”2.
In realtà, non ci si trova di fronte a un’impresa semplice: per quanto lo scrittore di fantascienza esalti le differenze, la sua immaginazione sarà sempre forzata entro schemi di un sapere che condivide con il lettore.
Nel suo articolo Making Aliens: Problems of Description in Science Fiction and Social Science apparso sulla rivista Theory, Culture & Society3, David Oldman affronta questa difficoltà logica attraverso una serie di “strategie di costruzione dell’alieno” che descriveremo brevemente.Una prima strategia consiste nel lasciar solo intuire la natura dell’alieno. Ne è un esempio il romanzo Solaris dello scrittore Stanislaw Lem. Il pianeta Solaris è l’«alieno». Il lettore non ha una conoscenza diretta del pianeta se non attraverso la reazione dei personaggi. Solaris diviene uno specchio in cui l’uomo riconosce se stesso.
Una seconda strategia descrittiva – forse la più comune - si basa su lasciare intatte alcune caratteristiche umane nell’alieno eliminandone o modificandone altre. “Vi sono numerosi romanzi (...) che sviluppano in profondità le conseguenze di variazioni fisiologiche, morali o sociologiche – spesso anche solo di dettagli - rispetto al nostro modello di umanità”4. Oldman descrive il celebre romanzo La mano sinistra delle tenebre di Ursula Kroeber Le Guin, un esempio di accurata descrizione etnografica di un mondo alieno le cui differenze col genere umano si basano sulla possibilità da parte di un individuo di sviluppare sia il sesso maschile che il sesso femminile in un breve periodo di fecondità.
Sul recente Gears of War, Aspho Fields della scrittrice inglese Karen Traviss, basato sulla sceneggiatura del celeberrimo videogioco della Epic Games, gli alieni – le Locuste - irrompono dalla loro dimensione “tellurica”, le viscere del pianeta Sera: sono chiamati dagli umani “vermi”, emettono un odore ributtante quando vengono feriti; divengono un valido motivo per farli a pezzi e squartare le loro carni con fucili d’assalto opportunamente muniti di sega elettrica. Vendetta e sadismo. Nella loro brama di sopravvivenza essi sono spietati, crudeli quanto sorprendentemente intelligenti. E l’accostamento con la razza umana diviene per il lettore “naturale”.
L’alieno letterario e cinematografico è spesso ributtante. Nella maggior parte dei casi si tende a costruire l’alterità nei suoi connotati negativi, ostili. L’extraterrestre si sposa con fattezze di insetto, di rettile, in un connubio da inferno dantesco; è creatura orribile nel suo essere qualcosa d’altro. In modo immediato suggerisce un’immagine speculare del lato oscuro e bestiale dell’uomo. In altre parole potremmo dire che l’uomo abbia creato l’alieno-mostro a sua immagine e somiglianza.
Una terza strategia consiste nel condurre il lettore in una dimensione di totale alterità, dove questi non ha alcuna “presa sulla realtà” a lui familiare. Si dà per scontato che il sapere di chi legge sia ugualmente alieno, ottenendo un risultato estraniante. Tale espediente narrativo viene definito nella fantascienza come “effetto coda dell’occhio” poiché “fa presa su una sorta di percezione laterale e indiretta, ma proprio per questo di grande potenza evocativa”5.
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