Le voci cessarono. Tirò un sospiro di sollievo. Era stato proprio ad un passo dal cedere, ma era stato bravo. Ce l’aveva fatta. Sapendo che non aveva nulla da temere se non avesse lui stesso permesso alla strana creatura di entrare nella casupola, si sdraiò nuovamente sulla brandina, deciso a far passare quella notte nel modo più rapido possibile, cioè dormendo.

Assopitosi, l’entità tornò nei suoi sogni.

Era Nina nuovamente. Appariva nuda davanti a lui. Era bella, invitante. I capelli castano chiaro ondeggiavano sulle sue spalle. Con le braccia protese, lo invitava a seguirla. Quasi sonnambulo si avviò verso di lei, accanto alla porta. Ella vi passò oltre. La reazione più naturale per lui, ormai non più lucido, era quella di raggiungerla. Immemore di ciò che poteva accadere posò la mano sul chiavistello e non avrebbe esitato a girarlo se non fosse improvvisamente comparso, come in un'altra visione, Babylamp.

– Cosa combini stupido? – Lo redarguì il ragazzino. – Resisti, manca poco all’alba! Ho puntato su di te, non puoi fallire. Crea un ostacolo mentale!  

Si riscosse improvvisamente. Pur essendo in una specie di trance, immaginò un muro altissimo di cemento e lo pose indietreggiando davanti a lui e Nina.

La figura si arrampicò agilmente, la donna era lì seduta davanti a lui in cima alla sovrastante barriera. Si riaccostò all’uscio. Si sentiva indebolito, incapace di opporre altra resistenza. Era lì. Poteva averla. Bastava volerlo. Un solo passo, un altro gesto e si sarebbe unito a lei…

– Aprimi per favore – esordì improvvisamente una voce di donna dalla finestra alle sue spalle – fa freddo e mi hanno lasciata sola. Ho paura. Dammi riparo. Chissà cosa può succedermi qua fuori.

La ignorò, pur essendo colpito dal tono supplicante.

– Lo so che sei lì. Perché non mi fai entrare? Henry, piccolo mio, sono la tua mamma. Non vorrai mica lasciarmi perire qui fuori. Lo so che non l’avresti questo cuore.

Corse all’apertura. Sembrava proprio sua madre, deceduta ormai da una trentina d’anni in seguito ad un incidente d’auto. Era lui alla guida. Ne aveva portato dentro di sé sempre un gran rimorso.

Guardò fuori, rivide e rivisse la scena. Lo schianto, il viso tumefatto della donna. Il dolore, i sensi di colpa lo trafissero dolorosamente. Qualcosa di sordo, che lo rendeva inerme di fronte alle avversità. Il desiderio opprimente di correre a soccorrerla e il rendersi conto che se l’avesse fatto si sarebbe condannato a morte. Si allontanò. Si ritrovò al centro della stanza, solo e abbandonato in quella rozza abitazione. Un forte senso di angoscia gli tolse il respiro, ansimava. Si ripiegò su sé stesso con le mani sul petto. Il coltello girava ancora una volta nella piaga. 

“Stai impazzendo” si disse “non può essere mamma. È tutto finto. Si sta prendendo gioco di te”.

Corse nuovamente alla finestra. Lei era ancora là, con il volto sanguinante e l’espressione supplicante, le mani protese verso di lui.

Non riuscì a resisterle. Sporse il braccio sinistro all’esterno e con terrore vide la scena mutare rapidamente. Al posto della donna c’era un essere tondeggiante mostruoso, nero, di circa due metri, con una grossa appendice cava che iniziò a risucchiarlo. Un rigido arto peloso della creatura si protese verso di lui per accelerare l’operazione. Impaurito e con forte istinto di sopravvivenza utilizzò la sua arma per difendersi, cercando allo stesso tempo di ritrarsi, nonostante la forte attrazione verso l’esterno.