Dopo pochi secondi si ritrovò in piedi sul ponte inferiore: era molto meno illuminato dell'altro e c'era uno strano odore, come se in qualche angolo oscuro fosse morto un topo. In fondo a un corridoio si intravedeva una porta aperta, da cui provenivano maledizioni in tutte le lingue conosciute della galassia. Doveva trattarsi della sala motori.Lentamente Max cominciò ad avanzare sul pavimento di metallo, tenendo una mano appoggiata contro la parete per restare in equilibrio. Non era stata una buona idea ficcarsi là sotto: la bassa gravità gli dava la nausea e quella puzza di cadavere peggiorava la situazione. Colto da un capogiro, Max si fermò a riprendere fiato. Stava per tornare indietro quando qualcosa sulla parete sotto la sua mano attirò la sua attenzione. Si trattava di una piastra di metallo: su di essa vi era incisa a chiare lettere la parola "stiva". E in quel punto il fetore era decisamente più forte.- Che odore! Chissà per che razza di merda ho dato fondo alla mia carta di credito?
Max rifletté per un attimo, poi vinto dalla curiosità azionò il meccanismo di apertura e la porta si riavvolse verso l'alto, di scatto.
Dall'altra parte, nella penombra, decine di occhi spenti si fissarono su di lui.
* * *
- Dannato motore! – sibilò Hugh, tirando fuori la faccia sporca di grasso da un groviglio di fili e di condotti di plasma. Questa volta non sarebbe bastata una pezza, come al solito: il collettore di plasma si era surriscaldato, saldandosi in un unico blocco alla camera di flusso, rendendo inservibile tutto il sistema di propulsione a ipervelocità. In quella situazione tragicomica, l'unica cosa positiva era che i sistemi secondari erano ancora in linea: ciò significava che potevano ancora viaggiare verso un pianeta officina. A velocità normale sarebbe stato un viaggio noioso, ma almeno non sarebbero morti congelati nello spazio interstellare.
Orso appoggiò il saldatore su un banco, cercando di individuare a memoria quale fosse l'officina più vicina alla loro posizione, ma fu distratto da un rumore proveniente dal corridoio. Era l'inconfondibile suono di una porta che si riavvolgeva. Il suo pensiero corse al carico, ma scartò subito quella possibilità: le porte si potevano azionare solo dall'esterno, e all'esterno c'era solo…
A grandi balzi Hugh si lanciò fuori dalla sala motori. Davanti alla porta della stiva, vivace come una statua di sale, c'era Max, con la mandibola che arrivava a sfiorargli le stringhe delle scarpe.
- Beh, che cazzo hai da guardare? – gli disse, in tono indifferente. – Non hai mai visto dei rifugiati? – Con un gesto rapido azionò il comando di chiusura e la porta si abbassò, mancando di pochi centimetri il naso di Max.
Ma il bamboccio non si mosse, non sbatté nemmeno gli occhi. Forse, a guardarlo meglio, tremava leggermente: probabilmente non si aspettava un carico così scottante e ora se la stava facendo sotto dalla paura. Peggio per lui: la prossima volta avrebbe imparato a non ficcare il naso in cose che non lo riguardavano.
Orso, preso da un insolito attacco di gentilezza, gli mise una mano sulla spalla, ma non fece in tempo ad aprire bocca che Max gli si avventò addosso come un leopardo infuriato, sbattendolo contro l'altra parete del corridoio.
- Gran figlio di puttana, pezzo di… - ringhiò Max, con una luce assassina che gli accendeva gli occhi blu come due luci al neon.
Hugh, colto alla sprovvista, cercò di giustificarsi mentre con le braccia si sforzava di tenere i pugni di Max a distanza di sicurezza dalla faccia.
- Calmati, Bob! Si può sapere che diavolo ti prend…
L'ultima parola fu troncata dalle nocche di Max, che calarono come un maglio su di lui facendogli scattare violentemente la testa all'indietro contro il titanio della parete.
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