Un luogo dove nessun Inalterato, che non fosse un aspirante suicida, si sarebbe mai avventurato a piedi, ma tutt'al più su un veicolo aereo, protetto da metallo corazzato contro proiettili, raggi e acido vegetale, e sotto buona scorta armata. Deglutii. Avevo paura: nessuno poteva permettersi di non averne. Per dignità e rispetto di me stesso, cercai disperatamente di non darlo a vedere. Aelc invece non aveva bisogno di fingere: se ne stava fermo, tranquillo, a guardarsi intorno con le braccia incrociate al petto, come se stesse ammirando il panorama. D'improvviso, trasalii, per una netta sensazione.- Abbiamo visite - mormorai, in un soffio.- Come promesso - replicò lui, annuendo, per nulla sorpreso. Ancora, non fece un gesto né un movimento, e io lo imitai. Il nostro ospite ci balzò davanti, una goccia d'ombra che si staccava dal buio per incombere su di noi, e non fu un'apparizione rassicurante.Il viso era solo vagamente umano, come se i tratti fossero stati malamente impastati da un artista bizzarro. Aveva tre braccia, con le quali reggeva un fucile costruito con mezzi di fortuna, una goffa imitazione dei G-8 dell'esercito, ma che appariva sinistramente efficiente. Brutto segno, che avessero mandato uno così.
Quelli con deformità esterne erano i peggiori: deportati da piccoli, con un cervello in genere perfettamente efficiente, ma del tutto ignoranti e spietati. Dei veri bruti, o non sarebbero sopravvissuti fino alla maturità. Di solito erano usati come soldati, fra i Mutanti, per quanto si potesse sapere della loro strana organizzazione apparentemente inesistente, misteriosa e incomprensibile per qualsiasi Inalterato.Aelc rimase impassibile. Forse non usavano saluti, fra quella gente. L'essere lo squadrò a lungo, e poi passò a me. Infine si rivolse di nuovo a lui, e parlò. Una voce da incubo.
- Aspettavamo uno solo. Tu, va bene. Ma questo qui?
Per meglio sottolineare le sue parole, si tolse la fascia che gli proteggeva la fronte, facendo lampeggiare la "M" fosforescente che vi era tatuata.
Aelc non gli rispose, ma si rivolse a me. Persino in quell'attimo di tensione la sua voce carezzevole riuscì a rassicurarmi.
- Genes - mi chiese - in quanti sono?
Chiusi gli occhi e respirai profondamente, facendo appello al potere nascosto che fino a quel momento mi aveva procurato più guai che fortuna, nella vita. Lasciai scorrere la percezione del mio sguardo interiore, la feci vagare a lungo nell'ombra della notte, spaziando fin dove riuscivo ad arrivare. E li sentii. Allora risposi, con voce tranquilla, quasi sognante:
- Sono in otto, qui intorno. Più due... - rabbrividii, nel pronunciare quel nome -...Simbionti.
Riaprii gli occhi in quell'istante. Il soldato mi stava guardando con un sorriso sghembo.
- Un Percettivo, eh?
- Sì. - confermò Aelc. - L' aiuto di Genes mi è indispensabile. Non posso fare niente senza di lui, Dan.
Sembrava una frase detta più per incoraggiare me, che per dare spiegazioni. Ma qualunque fosse lo scopo, lo ottenne: io mi sentii fiero, e il Mutante, che a quanto pare Aelc conosceva già, visto che lo chiamava per nome, si convinse, troncando ogni discussione.
- Andiamo. C'è della strada da fare, e non voglio trovarmi fuori per l'Ora-delle-Foglie-Chiuse.
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