"Non aveva mai conosciuto altra casa che questa. Un laboratorio dove si torturavano le persone. Hai idea di cosa significhi? Non sapeva cosa volesse dire l'affetto, non aveva mai ricevuto una semplice carezza, non era stata neppure mai sfiorata da mani umane. Qualsiasi contatto con un'altra creatura vivente, anche il più semplice, le era negato dalla sua stessa natura. Quando la conobbi io, era una creatura selvaggia e disperata: pur essendo intelligente, e avendo assorbito gli insegnamenti che le avevano dato, si rifiutava persino di parlare, e comunicava solo a gesti e grugniti.Poi, arrivò l'Uomo di Gelo. Un ragazzo che improvvisamente aveva sviluppato una strana mutazione: il suo calore corporeo diminuiva sempre di più, e il suo sangue riusciva a rimanere fluido anche alle più basse temperature. Lo tenevano quasi sempre in celle frigorifere, legato e impastoiato da fili, tubi e sensori. Studiavano le sue reazioni agli sbalzi termici.“Katiina godeva di molta più libertà rispetto agli altri prigionieri. Era diventata una presenza familiare, nel Centro, e la lasciavano gironzolare a suo piacimento per i laboratori, sicuri che non avrebbe potuto nuocere, né mai avrebbe tentato la fuga. Per andare dove, del resto? Non conosceva altro luogo che questo.
“Non so come accadde: ma un giorno si imbatté nell'Uomo di Gelo, disperato e solo nella sua cella piena di fili. Non so neppure come le sia capitato di sfiorarlo. Non credo sia stato per caso: lei era stata ben abituata a non toccare mai niente o nessuno. So solo che si accorse di non fargli male, e di provare anzi una strana, bizzarra sensazione, al contatto di quella pelle così fredda. E per lui era una emozione altrettanto insolita, quella presenza e quel calore, nella tremenda solitudine in cui si trovava. Ne nacque un'attrazione fisica enorme, e un amore altrettanto assoluto. Un'esperienza nuova e sconvolgente per entrambi. Qualcosa che nessuno di noi, credo, potrà mai provare.
“Così, accadde il miracolo: si scordarono del luogo in cui si trovavano, dell'isolamento, delle torture. Importava loro soltanto l'uno dell'altra. Per quanto possa sembrare incredibile, trovarono il modo per riuscire a incontrarsi, di tanto in tanto. Io... feci tutto quello che potevo per aiutarli. Ma temevo per loro.
“Katiina era diventata molto più responsabile e ragionevole. Sembrava trasfigurata. Alla fine, la convinsi a fuggire. Doveva farlo per se stessa. Per il suo uomo. E per il bambino che portava dentro.
- Ma non è sterile come tutti i Mutanti? - chiesi, allibito da quell'ultima frase. Aelc si voltò, sempre con lo stesso sguardo sognante con cui aveva parlato fino a quel momento.
- Be‘, come tu sai, io ho sempre fatto parte di molte commissioni, fra gli Inalterati. E partecipavo anche alle operazioni.
I due nella cella non avevano più i vestiti, adesso, e nell'intreccio dei loro corpi la pelle bruna di Manodifuoco e quella dell'uomo, dal pallore marmoreo, formavano uno strano contrasto. Non si erano accorti di noi, erano staccati dal resto del mondo.
- Speravo proprio che lei ci aiutasse. E che le cose potessero concludersi in questo modo.
La frase già suonava sibillina, ma Aelc ebbe il torto di sottolinearla azionando la chiusura della porta metallica, e imprigionando i due all’interno.
Di colpo, qualsiasi poesia di quell’amore, la commossa devozione all’idea di quanto lui si fosse prodigato e avesse rischiato per le due creature, mi abbandonò. Mi allontanai di qualche passo, scrutandolo con occhio indagatore.
- Tu... speravi? E quando mai tu ti sei basato su un sentimento frivolo e incerto come la speranza? - gli chiesi, ironico.
Non mi rispose. Neanche alterò di un millimetro il suo sorriso soddisfatto, di calmo trionfo. D'improvviso, nella mia mente prese forma un'idea, e tutti i pezzi cambiarono posizione a formare un nuovo schema. Allora, incalzai:
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