Voltai la testa in direzione di Aelc e lui mi fece un cenno, appena percettibile.
Fino all'ultimo avevo inconsciamente sperato che si pentisse; invece sembrava sempre più deciso, a ogni momento che passava. Così non mi restava che seguirlo, come gli avevo promesso.
Non dovevo soffermarmi troppo sulla pazzia dei suoi propositi, dovevo avere fiducia in lui, come sempre. E forse avrei salvato la buccia ancora una volta, per quanto assurda potesse sembrarmi ora una tale eventualità.
Così ce ne uscimmo dalla luce apparentemente rassicurante della Città Protetta (ma quanto infida, in realtà) per affrontare la stretta passerella metallica che portava al Difuori. La zona vegetale. Il rifugio dei reietti.
Era bastato un soave e benevolo sorriso perché la sentinella addetta al passaggio togliesse lo sbarramento, senza chiederci identificazione. Ma non avrei dovuto stupirmene più di tanto: non era la prima volta che vedevo gli effetti del potere di Aelc. Un potere che si accompagnava, per di più, a una razionalità molto sviluppata e a una freddezza non comune. Come dicevo, dovevo fidarmene per forza. E non perché subissi anch'io gli effetti della sua mente: più di una volta mi aveva giurato che con uno come me lui non poteva niente. Semplicemente, dovevo credergli. Anche perché gli ero riconoscente. Anche perché ciò che provavo per lui andava ben al di là della semplice amicizia.
Era l'imbrunire, l'inizio del brevissimo tempo concesso alle attività esterne. Il giallo sole di Lavernia stava per tramontare e la temperatura era scesa a livelli accettabili. Entro meno di tre ore locali sarebbe diventata glaciale, costringendo di nuovo i malcapitati del Difuori a trovare in fretta un buon riparo. Se anche non avessimo avuto il termorologio con noi, sarebbe bastato osservare i fiori delle ipertrofie, che stavano trascolorando al più puro violetto, per sapere esattamente l'ora. Così come l'inizio del freddo era segnato dalle foglie di campanula strangolatrice, che si ripiegavano su se stesse, oppure l'alba dagli scoppiettii dei semi dell'albero-fucile.
Io ne sapevo qualcosa: dopotutto ero un botanico piuttosto affermato. Ma era stato Aelc, che aveva studiato a lungo la psicologia dei Mutanti, a raccontarmi come quelli del Difuori avessero tutto un gergo basato sulle piante, per definire le ore e le attività. E questa era per l'appunto "l'Ora Viola". L'ora della speranza. La loro preferita.
Giunti quasi al fondo della passerella, non potei fare a meno di soffermarmi a osservare, finché la luce lo permetteva, lo spettacolo di quella sconfinata foresta in continua evoluzione, il sogno di qualsiasi botanico. Era per avere il privilegio di studiarla che avevo chiesto il trasferimento temporaneo su Lavernia: sapevo tutto del clima, dei disagi, delle radiazioni, e non ne ero spaventato, nella prospettiva di ricavarne qualche buon articolo, magari un intero trattato, che mi rendesse gloria e fama imperitura. Ma non sapevo il resto, quello che il governo teneva accuratamente segreto, o non sarei mai stato così pazzo da cacciarmi in trappola da solo; nella Città Protetta, il mio viaggio di studio si sarebbe ben presto trasformato in un incubo, se non fosse stato per Aelc.
Lui mi mise una mano sulla spalla, quasi comprendesse il mio stato d'animo, ma al tempo stesso volesse spingermi a proseguire.
- È orribilmente meraviglioso, lo so. Ma da qui siamo ancora troppo visibili. Non sfidiamo la sorte più del necessario: non abbiamo molto tempo da perdere.
Controllò il limitato equipaggiamento che portava con sé e mi invitò a fare altrettanto; per l'ennesima volta mi chiesi che senso avesse presentarsi disarmati, inermi, quasi nudi, per così dire, al cospetto di un ambiente apertamente ostile e dei suoi non meno pericolosi abitanti. Ma Aelc, con la sua lucida follia da profeta disarmato, non aveva voluto ascoltare ragioni. Così, imboccammo lentamente la discesa, tenuta sgombra da vegetali con un complicato sistema elettrificato, e alla fine, quasi senza accorgercene, ci ritrovammo inghiottiti in un mondo cupo, assurdo, dai mille odori e rumori, e suoni e scricchiolii, dove tra vegetazione gigante e avanzi di edifici umani le ombre si andavano allungando sempre di più.
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