Tutta questa attenzione verso il post-corporale non rischia di generare attese messianiche un po' metafisicheggianti?
Più che attese, analisi e riflessioni. Sono io il primo a temere un uso improprio delle tecnologie emergenti. Accanto alla tecnica l'uomo dovrebbe sempre sviluppare un'etica associata perché l'abuso è sempre dietro l'angolo senza una corretta prevenzione ed educazione al mezzo. Ma non è proprio metafisica quando vedo mia figlia Sofia di soli 14 mesi manovrare il telecomando, il cellulare e il mouse come fossero oggetti assolutamente familiari. Mio padre ci ha messo dei mesi per imparare a "puntare" correttamente, mia figlia non ha neppure bisogno d'imparare. La tecnologia è nata per sopperire alle nostre carenze fisiche e intellettuali ma i memi di tale conoscenza si trasmettono proprio come i geni. Oppure meglio, sono già dentro di noi e attendono di essere risvegliati da un'educazione che "attivi" questo istinto innato, congenito all'essere umano.
Il buon connettivista crede in Dio o no?
Personalmente no. Dio per come ce lo insegnano a scuola o in chiesa assolveva un compito escatologico che è ormai superato dalla scienza. La filosofia della scienza è la religione del nuovo millennio. Ogni avanzamento della civiltà ha sempre adattato le discipline che l'hanno rappresentata ai modelli di riferimento della propria cultura. Il politeismo era la religione delle tribù disperse, delle credenze rituali, della spiegazione mitica del creato. Il monoteismo ha invece consolidato le regole, ha fondato i valori costituenti di una società e ha stabilito cosa era giusto e cosa era sbagliato, ha moralizzato il mondo. Oggi la filosofia della scienza insegna il metodo più avanzato di analizzare e comprendere sia la realtà esteriore che l'universo interiore. Il che ci riporta al senso più profondo della religione e quindi al bisogno umano di Dio. Perché esistiamo? Cosa c'è oltre la morte? Io mi sento vicino al buddismo. Unica filosofia di vita capace di affermare che per essere se stesso, non è necessario seguire alcuna dottrina, al contrario si deve uccidere il proprio Buddha. In senso filosofico, di ricerca interiore.
Molto importante per te è la musica. Perché?
Perché per dieci anni ho lavorato come DJ. Ho attraversato l'epoca della disco music (ahimè solo il crepuscolo), degli anni Ottanta, dell'house music, dei rave parties e della techno, degli albori della trance e della progressive, per finire con l'electro. La musica incarna un linguaggio universale. Un qualcosa che "connette" per definizione senza bisogno di intermediari. Ognuno recepisce quello che sente. Ognuno la vive come vuole. La musica è la prima forma di comuncazione di un bambino, è la vibrazione che non ha bisogno di spiegazioni, ci arriva alle orecchie e ci "collega" tutti quanti. Dai tamburi di guerra, ai gospel, dai cori da stadio, agli inni nazionali, la musica parla al nostro spirito, eleva le nostre menti, unisce e lenisce. Da DJ vorrei che l'aspetto sociologico del fenomeno dei club venisse analizzato più a fondo. Cosa che ho cercato di fare in parte con Antidoti umani. Esistono veri e propri luoghi di culto, immense cattedrali con i loro ministri del suono e luoghi di pellegrinaggio dove milioni di persone convogliano ogni sabato sera in tutto il mondo. Ricevono un "messaggio" sonoro ed eseguono un rituale condiviso. Suona familiare?
Musica e fantascienza sono sempre state buone compagne di cammino. Come fare a integrarle nel tessutto connettivista del tuo romanzo?
In questo romanzo è stato facile. La musica è una frequenza e la frequenza sta alla base di tutta la materia secondo la legge di Einstein e=mc2. A metà del romanzo la musica non sarà più solo un'onda sonora ma diventerà qualcosa di radicalmente diverso. Su questo non posso svelare altro.
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