— Sarà almeno dal 2010 che non ne fanno più. Preparami un primo rapporto da inviare — chiese rivolgendosi a Colette — con copia per conoscenza alla sezione francese. La donna annuì. Era una gentilezza nei suoi confronti. Il comando italiano avrebbe sicuramente inoltrato i dati a quello che rimaneva dell’agenzia francese dopo il cosiddetto Disastro della periferia, ma anticiparli in questo modo dava un minimo valore agli ormai pochi colleghi francesi ancora impegnati nella cosa, anche se questi sapevano bene che dipendevano in tutto e per tutto dall’Italia. Avrebbe incentivato la loro fedeltà. E che fossero certi che si stava meglio con gli italiani che con gli inglesi o i tedeschi; per non parlare dei russi.Il pulmino partì e affrontò la curva. La boscaglia si aprì all’improvviso come se si trattasse di un sipario, mentre la strada iniziava a scendere verso la costa e appariva una città che non doveva esistere.Transitarono davanti a negozi e gente che trasportava le borse della spesa e poi parcheggiarono nel centro della piazza su cui dominava il castello.— Chi mi da un euro per il parchimetro? — chiese Davide tendendo la mano.Stefano scosse la testa. — Vado io.
Scese e andò a studiare la colonnina; sembrava in ordine. Quando fece scivolare la moneta nella fessura, ottenne il diritto di rimanere parcheggiato per tre ore.
— Come ci comportiamo? — chiese Colette guardando i passanti che attraversavano la piazza.
— Come sempre. Procedura standard del manuale. Facciamo finta di girare il solito documentario e fotografiamo tutto quello che potrebbe essere utile. Poi Davide fa un giro negli archivi del municipio ed Erica fa qualche intervista. Compriamo dei souvenir e prendiamo dei campioni solo quando siamo sicuri di non essere visti da nessuno.
— Per me è la prima volta sul campo.
Stefano rimase serio. Sapeva che, prima del Disastro, Colette faceva la segretaria dell’ufficiale di collegamento; era scampata solo perché era con lui in visita dagli italiani.
— Farai esperienza anche tu. Osserva come ci comportiamo noi.
Per prima cosa visitarono il castello, una fortezza di epoca medievale trasformata in parte nel corso del Rinascimento. Due torri cilindriche proteggevano l’ingresso accessibile solo con un ponte levatoio, che adesso era sempre abbassato, mentre sul lato rivolto verso il mare sorgeva un massiccio donjon, un corpo di fabbrica rettangolare dotato di torri sporgenti.
Il custode all’ingresso li guardò per qualche istante, ma non disse nulla quando iniziarono a usare la telecamera. Stefano pagò 75 euro per tutto il gruppo e iniziò a leggere l’opuscolo scritto in quattro lingue mentre salivano la scalinata centrale.
— Parla di uno scontro e di un successivo assedio da parte delle forze di Enrico VI. Un certo Conte Fillippo De Courtenay, che comandava i difensori, non si sarebbe arreso al nemico costringendo alla morte per fame quasi tutta la guarnigione. Solo dopo la sua morte i pochi superstiti avrebbero abbassato il ponte levatoio. Ci deve essere una sala d’armi con l’armatura del Conte.
Marco si chinò sui gradini e ne grattò la parte superficiale riempiendo di polvere una bustina. L’analisi spettrografica ne avrebbe definito l’età.
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