Oltre che uno dei più apprezzati autori della sua generazione, artefice di visioni maestose e sospese tra la fantascienza più aggiornata sotto il profilo tecnologico e il senso straniante dei più rutilanti scenari galattici, Vernor Vinge è anche l’ideatore del concetto filosoficamente più dibattuto sul futuro imminente della nostra civiltà: la Singolarità Tecnologica. Questa idea fece la sua prima apparizione sistematica proprio in un saggio dello scrittore e matematico statunitense nel 1993, ma i prodromi dell’intuizione erano già presenti in romanzi come Il vero nome (True Names, 1981), I naufraghi del tempo (Marooned in Realtime, 1986) e il premio Hugo Universo Incostante (A Fire Upon the Deep, 1992). L’articolo The Coming Technological Singularity. How to Survive in the Post-Human ha imposto la nozione di Singolarità alla comunità accademica internazionale e alle comunità cibernetiche nell’era dell’informazione, venendo adottata da numerosi esponenti dell’associazione transumanista.
L’attività speculativa di Vinge non ha conosciuto battute d’arresto. Il panorama di un futuro ad altissimo livello di integrazione tecnologica ha continuato ad essere esplorato nelle recenti novelle Tempi veloci a Fairmont High (Fast Times at Fairmont High, 2001), I simulacri (The Cookie Monster, 2003) e nell’acclamato Rainbows End (2006, ancora inedito in Italia, ma annunciato in uscita per Urania tra la fine del 2009 e l’inizio del prossimo anno).
Come dimostrano questi titoli, augmented reality e reti ubique sono la frontiera innovativa su cui Vinge ha puntato i riflettori. Invece di arrogarsi facoltà profetiche, l’autore americano ha sempre dibattuto le sue idee alla stregua di ipotesi di lavoro, senza esitare nemmeno a metterle in discussione da punti di vista eterogenei. Emblematico di questo atteggiamento si è rivelato il suo intervento nei seminari del Long-Term Thinking organizzati dalla Long Now Foundation, in cui metteva in discussione proprio l’avvento della Singolarità Tecnologica (What if the Singularity Does NOT Happen, 2007).
Ormai quella fetta della web-community che non rinuncia a interrogarsi criticamente sulle frontiere della tecnologia sembra essersi divisa in due schieramenti contrapposti: chi ha abbracciato le suggestioni di tale ipotesi e le usa nei propri sforzi di anticipazione del futuro o – artisticamente parlando – di world-building; e chi invece rifiuta tenacemente il pensiero, con una reazione di repulsione che talvolta tende a degenerare in ostile chiusura di fronte alle frange di ammiratori più entusiasti (che non di rado finiscono a loro volta per indugiare in un’esaltazione tutt’altro che costruttiva del mito della Singolarità, in maniera nemmeno troppo diversa da una setta religiosa).
Vinge però è un uomo di scienze, oltre che di fantascienza, e il suo background culturale gli permette di filtrare attraverso un consapevole sguardo critico le più sfrenate e avveniristiche prospettive. Nel secondo numero di H+ Magazine, la rivista di cultura transumanista fondata lo scorso ottobre da RU Sirius e distribuita gratuitamente in PDF (è online da qualche giorno) Vinge è stato intervistato da Doug Wolens. È stata l’occasione per tornare sulla sua invenzione più popolare, e approfondirne alcuni aspetti.
Il primo punto con cui fare i conti è che non esiste, a tutt’oggi, una definizione univoca di Singolarità. “Persone diverse hanno idee diverse sulla Singolarità” ammette Vernor Vinge, proponendo poi la propria definizione, che sta tutta nella convinzione che in un futuro molto prossimo l’uomo sarà in grado, usando la tecnologia, di creare o trasformarsi in una creatura dall'intelligenza sovrumana. “Penso che il termine Singolarità sia appropriato dal momento che, a differenza di altri cambiamenti tecnologici, mi sembra palese che questo cambiamento ci risulterà inintelligibile, alla stessa maniera in cui il nostro attuale livello di civiltà può risultare incomprensibile a un pesce rosso”.
Per questa ragione è inappropriato il parallelo, suggerito da più parti, tra la Singolarità e quel grande evento nella storia della diffusione del sapere che è stata l’invenzione, a metà del XV secolo, della stampa da parte di Gutenberg. Come spiega Vinge, prima della loro concreta invenzione, avreste potuto spiegare i caratteri mobili a un uomo qualunque e illustrargliene gli effetti: se anche non vi avesse creduto, il vostro interlocutore avrebbe potuto comunque cogliere l'idea. Questo non può funzionare per la Singolarità, così come con un pesce rosso non funzionerebbe alcun tentativo di spiegazione della stampa di Gutenberg. “Esplicitare il mondo post-Singolarità è qualitativamente diverso dalla spiegazione di qualsiasi scoperta del passato: tutti gli eventi epocali (la scoperta del fuoco, l’invenzione della stampa, l’evoluzione delle città e dell’agricoltura) non costituiscono il giusto termine di paragone. La Singolarità Tecnologica è più simile alla comparsa dell’umanità nel regno animale, o forse anche all’apparizione della prima forma di vita pluricellulare”.
Avere a che fare con qualcosa che oltrepassa la più efficace tra le facoltà sviluppate dall’uomo, ovvero l’intelligenza, provoca naturalmente disagio e inquietudine. Vinge non ne fa mistero, ma non nasconde nemmeno il suo affidamento che la Singolarità potrebbe avere delle ricadute senz’altro positive sull’evoluzione dell’umanità. Il cambiamento di prospettiva risulterebbe così radicale da ridefinire la nostra scala di priorità e potrebbe schiudere interi nuovi orizzonti alla nostra comprensione della vita, della società, della civiltà. E se da un lato l’autore americano ribadisce il suo possibilismo, dall’altro non lesina le ragioni alla base della sua convinzione.
“Personalmente sarei sorpreso se la Singolarità non si verificasse entro il 2030. Per carità, nel frattempo potrebbe avvenire qualsiasi cosa, ma io credo che la Singolarità sia il più probabile degli eventi non-catastrofici che potrebbero avere luogo nel prossimo futuro”. Gli elementi da tenere d’occhio per avere un polso della situazione sono fondamentalmente due, secondo Vinge. Se la scrittura di software dovesse incorrere in un numero crescente di fallimenti e battute di arresto, sarebbe senz’altro un sintomo negativo. Nella stessa misura risulterebbe confortante la tenuta della Legge di Moore, che ha già dimostrato una vitalità superiore a ogni più ottimistica previsione. Ma il segnale più significativo dell’approssimarsi della Singolarità sarebbe la crescente diffusione di supporti esterni per le nostre facoltà cognitive. La scrittura e la lettura rappresentano già, dopotutto, un meccanismo di delocalizzazione della memoria. “L’umanità può essere caratterizzata, ancora meglio che come la specie animale che è stata capace di sviluppare utensili, come l’unico animale che ha saputo concepire un’esternalizzazione della propria coscienza.”
“Se, per esempio, nei prossimi dieci anni” conclude Vinge “doveste notare sempre più impieghi di surrogati della coscienza umana o se le responsabilità lavorative dell’uomo dovessero diventare sempre più automatizzate, in settori ancora non automatizzati dove sono coinvolte le capacità di giudizio, allora stareste guardando la marea montante di questa delocalizzazione della coscienza. E questo sarebbe un sintomo davvero importante”. Se sarà motivo di inquietudine o emancipazione, soltanto il tempo saprà dircelo.
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