Nel 1991 la nuova serie televisiva Star Trek: The Next Generation era ormai in pieno boom negli Stati Uniti e, in occasione del 25° anniversario della serie classica, si decise di concludere definitivamente le avventure dell’ormai consunto equipaggio della vecchia Enterprise. Così, l’ultimo film con il cast di quella che ormai era diventata nota come la “serie classica” (The Original Series in inglese), The Undiscovered Country, uscì quell’anno e venne dedicato al deceduto padre di Star Trek, Gene Roddenberry. La trama del resto, firmata in parte da Leonard Nimoy, sembrava essere stata scritta per chiudere un capitolo fondamentale non solo della serie classica ma anche dei film precedenti, ossia l’ostilità tra i Klingon e la Federazione. Sembrava appropriata, soprattutto, per la nuova atmosfera successiva alla fine della Guerra fredda e per spiegare la presenza sull’Enterprise della nuova serie di un klingon quale Worf. Anche se Roddenberry, in realtà, non si era mai abituato all’idea, un po’ come Kirk che nel film pronunciava la famosa frase: «Non mi fiderò mai dei Klingon, non li potrò mai perdonare per la morte di mio figlio». Un budget moderato e la presenza di un equipaggio ormai troppo vecchio per convincere il pubblico furono forse gli unici difetti di un film che riuscì a racimolare quasi 100 milioni di dollari e realizzò il suo primo record d’incassi nella prima settimana di programmazione. Due le nomination ai premi Oscar, uno per il trucco e l’altro per gli effetti sonori; nessuna nomination invece per le pur ottime musiche affidate a Cliff Eidelman. Tre anni dopo, il settimo film della serie intitolato Star Trek Generations cercava di chiudere definitivamente il capitolo “Kirk & co.” facendo calare il sipario sul protagonista principale del ciclo precedente, ossia il capitano Kirk. Se infatti Rotta verso l’ignoto si concludeva in modo da suggerire un addio alle scene, restava pur sempre il problema del destino di Kirk che non poteva, considerando l’alone di leggenda intorno al personaggio, essere affidato all’immaginazione del pubblico. A sobbarcarsi l’arduo compito di uccidere un mito vivente di Star Trek furono Rick Berman, Ronald D. Moore e Brannon Braga, i tre nuovi volti (produttori, soggettisti e sceneggiatori) che avevano costruito sul piccolo schermo il fenomeno di The Next Generation. In questo caso il titolo stesso del film assumeva più di un significato, stando a intendere non solo il passaggio di consegne tra due capitani e due equipaggi dell’Enterprise, ma anche tra due generazioni di creatori di Star Trek. Il film è pregno di una certa nostalgia a partire dalle prime scene, quelle dell'inaugurazione della nuova Enterprise alla presenza degli ormai vecchi Scotty e Kirk, fino alle ultime, quelle della morte del primo capitano dell'Enterprise che - per l'ultima volta - sacrifica sé stesso per salvare vite innocenti. Ad assumere le vesti dell’antagonista di turno veniva scelto un buon Malcolm McDowell, mentre una parte non indifferente veniva affidata a Whoopi Goldberg nei panni di Guinan, personaggio già apparso nella serie televisiva. Di grande effetto i temi musicali scritti da Dennis McCarthy. Il risultato in termine di incassi fu di buon livello anche se il boom della prima settimana di programmazione in America illuse i produttori di aver fatto il botto; il calo successivo fu dovuto a un’accoglienza piuttosto fredda da parte della critica, che trovò nel film un difetto che avrebbe accompagnato tutti i successivi (a parte Primo contatto): il non riuscire a darsi un senso oltre la serie televisiva, di cui la pellicola sembrava essere solo una doppia puntata speciale.Senz’altro il film più riuscito della Next Generation, Primo contato resta anche tra i film più amati in assoluto dai fan. Alla regia, in ottemperanza a una vecchia tradizione, veniva chiamato ora Jonathan Freakes, interprete del comandante Riker nella serie televisiva. Soggetto e sceneggiatura erano di nuovo frutto dell’affermato trio Berman, Braga e Moore che dopo una breve incertezza decisero di inserire in questo film per la prima volta i Borg, la devastante razza aliena introdotta nella seconda stagione di The Next Generation e accolta con entusiasmo dagli appassionati. Inoltre, fu scelto di riprendere un tema caro alla tradizione di Star Trek e che aveva assicurato a suo tempo un successo come quello di Rotta vero la Terra: il viaggio nel tempo. Questa volta tuttavia l’epoca in cui la nuova Enterprise (frutto del design di Herman Zimmerman) veniva a ritrovarsi nel tentativo di fermare il piano dei Borg di distruggere la Federazione era posta nel nostro prossimo futuro, nel 2063, l’anno del primo volo ultraluce e del conseguente primo contatto con una razza aliena, quella dei vulcaniani. James Cromwell fu l’ottima scelta per la parte di Zefram Cochrane, l’eccentrico scienziato inventore della prima astronave a “velocità warp”; ad Alice Krige venne affidato il ruolo della Regina Borg, un controsenso dal momento che i Borg erano stati finora descritti come una società non apicale, un collettivo dotato di coscienza comune. Ma gli appassionati accolsero positivamente le novità e al cinema anche i non-trekkies mostrarono di gradire. Il risultato fu il secondo miglior successo in termini di incassi della storia dei film di Star Trek dopo Rotta verso la Terra, a conferma che i viaggi nel tempo pagavano. Una lezione, questa, che J.J. Abrams doveva avere avuto ben in mente quando ha cominciato a realizzare il suo nuovo Star Trek. Il tema musicale, affidato di nuovo a Jerry Goldsmith diciotto anni dopo la partitura per il primo film, rimane oggi forse il miglior pezzo composto per la serie cinematografica, giustamente protagonista di tutta la sequenza dei titoli di testa del film.
Il viaggio infinito di Kirk & Spock sul grande schermo
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