Due postumani a colloquio tra loro.
- Ho preso il virus HD3j. Così riuscirò a ricaricare in pochi millisecondi le protesi nanotech che ho in testa.
- Attento! Ho percepito in Rete che quel ceppo trasporta l’infezione nel biologico…
È uno scenario assurdo, surreale se letto così, senza altre informazioni. Il riferimento tecnologico che sottende al breve scambio di battute è relativo alla scoperta fatta da alcuni scienziati del MIT di Boston riassumibile in questo modo: alcuni virus biologici, inseriti in una batteria al litio, funzionano come catodi e anodi e generano così, in una batteria di capacità maggiorate rispetto alle solite presenti sul mercato e con la sola aggiunta di fosfato di ferro in nanotubi, un flusso di elettroni più intenso.
Entro pochi anni si prevede che questa tecnologia diventi commerciale e operante nei dispositivi elettronici di uso comune, e questa scoperta apre scenari anche inquietanti sul futuro dell’umanità, che potrebbe essere traghettata presto nella transumanità, poi nella postumanità - questo senza scomodare il funzionamento vero e proprio delle protesi cyberpunk, che noi cultori della fantascienza ben conosciamo.
A cosa alludo? Alle batterie presenti nei pace-maker, per esempio (faccio un’astrazione, certo, ma sappiamo dire con esattezza quanto improbabile o lontana da una futura realtà?), batterie che pure se non al litio potranno probabilmente ospitare lo stessa la tecnologia dei virus utilizzati come terminazioni elettriche; quei virus presenti in un organismo sono potenzialmente pericolosi, perché in qualche modo potrebbero trasferirsi nell’ecosistema ospitante. Infettandolo. Ma non mi posso fermare a questa sola estrapolazione.
Se aumento il grado di astrazione della faccenda, allora posso espandere la peculiarità dei virus fino a farli divenire trasportatori di informazioni; nel recente passato sono stati tentati esperimenti in tal senso e di risultati positivi ce ne sono stati, e così vado avanti con le mie fantasticherie estreme e provo a immaginare una qualsiasi protesi tecnologica applicata a una qualche sezione nervosa dell’organismo umano, come un occhio artificiale governato da un’unità cibernetica (tipo una microcamera o qualche chip RFID): qualcuno riesce a immaginare cosa potrebbe succedere se in un organismo sono presenti, in punti delicati, delle parti cibernetiche dove si verificano delle contaminazioni, delle infezioni informative, uno scontrarsi tra dati di diversa natura o, peggio, della stessa natura ma con uno dei due flussi potenzialmente malware, malevolo? Opportunamente istruiti, questi software-virus potrebbero prendere il sopravvento all’interno dell’organismo ospitante? Io non vedo grossi ostacoli al verificarsi di queste fosche previsioni e suppongo che il discorso potrebbe espandersi in modo estremo, fino alla nascita di una piccola entità di IA parassita all’interno di un organismo umano (o quello che sarà).
Tutto ciò potrebbe diventare molto più reale di quanto sembri ora, e la cosa più sgradevole è che la base di tutto il ragionamento funziona, è viva ed è sperimentata già adesso, è di facile sviluppo commerciale.
Che il Cyberpunk ci assista, visto che già sapeva di questi sviluppi; oddio, qualcuno sa dirmi perché ora mi viene in mente La musica del sangue di Greg Bear?
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