Al nostro ottavo o nono intervento, non ricordo bene, fui colpito da una scritta sul muro di un palazzo. Eravamo a Roma, e avevamo appena catturato un feroce assassino seriale (ma solo per fargli fare una fine simile a quella delle sue vittime), quando, passando con l’autovettura, vidi la frase scritta in rosso. Diceva: “Uccideteci tutti, lo meritiamo. Viva la squadra della legge morale”Il giorno in cui trucidammo un intero gruppo di persone che organizzavano video “snuff”, eravamo ormai all’apice della notorietà. Li facemmo rinchiudere, vivi e ben svegli, in bare appositamente preparate e con gli interni rivestiti di amianto. I lati erano più alti del normale, in modo da permettere l’illuminazione necessaria e una corretta visione da parte delle webcam poste all’interno. Li legammo e inchiodammo i coperchi. Da quattro piccole aperture poste negli angoli fu fatto fluire del liquido speciale preparato da un chimico militare amico di Marinus. Si trattava di una sostanza che intaccava i tessuti cutanei fino a scioglierli lentamente. Una volta passato lo strato di pelle, venivano bruciate le arterie e i muscoli. Alla fine sarebbero rimaste solo le ossa, ma il processo era lento e quindi incredibilmente doloroso. Non guardai mai quel video. Mi bastò ascoltare le urla per capire che fu una punizione riuscita. Un’altra volta, molti lo ricorderanno, prendemmo tre stupratori di una giovane che era poi stata uccisa dallo stesso gruppo di malviventi. Rintracciammo il padre della vittima, ancora affranto e carico d’odio, e glieli lasciammo incatenati a una parete e con a disposizione dei ganci da macellaio. Quando ebbe finito, era tutto ricoperto di sangue e di interiora umane, e piangeva come un bambino invocando il nome della figlia scomparsa.L’ultima “terapia” prima della partenza fu quando lasciammo cadere da un elicottero tre europei che avevano violentato dei bambini. Precipitarono da un’altezza di duecento metri su una zona rocciosa. Riprendemmo il video della caduta e dei corpi schiantati e ne stampammo dei manifesti. Li mandammo agli attivisti che ci sostenevano a Parigi, e ne furono ricoperti i muri di diverse città occidentali.
A mano a mano che si avvicinava la data della missione marziana, diventava sempre più difficile organizzarci per il nostro “secondo lavoro”, come lo chiamava Joanna. Le pause nel Programma di Formazione erano state abbastanza frequenti, ma gli ultimi sei mesi non ci lasciarono molto spazio di autonomia, e in un paio di occasioni tememmo di essere scoperti.
L’ultima settimana di settembre partimmo per Marte lasciandoci alle spalle ogni rischio, almeno così credevamo. Le azioni della Squadra proseguirono attraverso gli accoliti che Lazarius aveva saputo riunire. Era stata creata una vera e propria rete di reclutamento, in diverse regioni del mondo, che garantiva la continuità. Lazarius aveva da tempo impostato tutto. Bastò l’esempio dei nostri interventi per innescare meccanismi già predisposti in ogni dettaglio. Si trattava di una sorta di setta segreta che aveva atteso l’avvento della propria stessa ragion d’essere.
Nessuno era però autorizzato ad iniziative personali. I singoli gruppi sparsi potevano suggerire un’idea, comunicandola con un complesso sistema di messaggi codificati attraverso azioni pubbliche, come un incendio in determinate zone geografiche, l’esplosione di edifici abbandonati, pubblicità di prodotti inesistenti. Queste informazioni venivano trasmesse solo in precisi giorni, e secondo il periodo si sapeva quali fossero i canali di comunicazione che avrebbero dato le notizie in codice, che così potevano essere ricevute e decodificate. Solo da Marte, infatti, poteva arrivare la conferma o meno dell’operazione e quindi esserne ratificata la paternità.
In questo modo la storia della Squadra non terminò con il nostro arrivo sul Pianeta Rosso.
(…)
Su Marte il Terraforming era iniziato da cinquant’anni. Si erano succeduti diversi gruppi, mentre una parte dei partecipanti al progetto cominciava a diventare stanziale. Quando arrivammo c’erano oltre duemila persone che popolavano la stazione marziana.
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