Eppure, è difficile rintracciare nell’opera di questo autore riferimenti espliciti al suo credo politico. Probabilmente l’esempio più notevole deriva proprio dalla lettura dei Canti di Hyperion, ossia la tetralogia che l’ha reso famoso in tutto il mondo e composta da Hyperion, La caduta di Hyperion e da Endymon e Il risveglio di Endymion. Nei primi due romanzi, il governo dell’Egemonia dell’Uomo – il grande impero illuminato che costituisce la “civiltà” galattica – si scontra con la minaccia degli Ouster, mutanti che hanno deciso di abbandonare la Rete dei Mondi, ossia il complesso sistema di teleporte che consente di annullare la distanza spazio-temporale tra i pianeti, e viaggiare tra le stelle come nomadi. Dipinti come “barbari interstellari”, selvaggi privi di ogni raziocinio e dediti alla distruzione fine a se stessa, gli Ouster successivamente si rivelano una civiltà superiore, che ha raggiunto un gradino più alto dell’evoluzione umana sviluppando tecnologie e capacità biologiche impensabili. L’Egemonia, metafora dell’Occidente evoluto contrapposto alla barbarie degli “altri”, tracolla sotto il peso della sua sconsiderata debolezza rivelando invece la bontà della scelta degli Ouster, i ribelli dell’Umanità. Ancora, nei due romanzi successivi, gli eroi sono i due giovani protagonisti che si oppongono alla spietata dittatura della Pax, la Chiesa cattolica ultraconservatrice che ha preso il posto dell’Egemonia asservendo l’umanità alle leggi del fondamentalismo della Bibbia (un fondamentalismo, si noti, di tenore opposto a quello islamico). In tutti e quattro i romanzi, dunque, il ruolo degli eroi è svolto da personaggi ribelli, in continuo conflitto con le logiche “imperialiste” dello status quo vigente. Al centro dell’intera epopea si pone il folle poeta Martin Sileno, distruttore di ogni convenzione e spietato detrattore del perbenismo della società. Anche se in diverse parti delle opere si leggono riferimenti a rivolte islamiche integraliste e al conflitto tra Israele e Palestina, considerando la filosofia alla base dell’affresco dipinto da Simmons non si fatica a trovare quegli elementi che De Matteo considera l’essenza della fantascienza: il tema della lotta per la libertà e la sua carica contestataria. Lo spietato soldato imperialista (tra l’altro islamico) Fedmahn Kassad è ancora capace in Hyperion di trasformarsi in pacifista e attivista contro la guerra.
Così, per quanto ognuno di noi non possa fare a meno di provare un certo disagio di fronte a esternazioni così poco politically correct da parte di Dan Simmons nel suo forum (esternazioni sulle quali l’autore ha poi fato una doverosa marcia indietro), e pur non potendo fare a meno di condannare un atteggiamento certo scorretto come quello di cui è stato vittima il suo traduttore francese, difficilmente si può giungere alla conclusione che il rimedio migliore sia fare a meno dell’opera di uno scrittore che così tanto ha dato – e forse continuerà a dare – alla letteratura e alla fantascienza (lo testimoniano, non foss’altro, nove premi Locus, quattro Bram Stoker, due World Fantasy Awards e un premio Hugo). Il rischio è piuttosto quello di ritornare alle feroci diatribe che in Italia hanno portato ad annose e violente "purghe" contro l’inestimabile opera di J.R.R. Tolkien, bollato – senza in quel caso nessun appoggio proveniente dalle parole stesse dello scrittore – come irrimediabile reazionario filo-fascista; oppure le critiche mosse contro le posizioni razziste di H.P. Lovecraft (accostato, come del resto lo stesso Tolkien, alla filosofia di Julius Evola). E ci sarebbe ancora molto da dire sulla lunga polemica seguita alla recente dichiarazione di Ray Bradbury, vicino tra l’altro alle posizioni della presidenza Bush jr., che sfatava perentoriamente la comune credenza che il suo celebratissimo Fahrenheit 451 fosse una critica alle derive totalitariste e all’America di McCarthy, sostenendo invece che dietro la sua opera non si celasse alcun messaggio politico o ideologico, ma solo una condanna alla massificazione televisiva. Eppure ciò non ha impedito, e non impedirà, a orde di critici letterari di interpretare il capolavoro di Bradbury come un poema a favore della libertà. Figuriamoci allora quanti, ben più semplici lettori, continueranno a leggere le opere di Tolkien, di Lovecraft, di Bradbury e da oggi di Simmons, ignorando o piuttosto sorvolando su reali o presunte opinioni non condivise, finché la qualità letteraria consentirà di apprezzare ancora queste opere.
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