Il commento iniziale di molti appassionati alle prime notizie su Fringe, il nuovo serial di fantascienza ideato da J.J. Abrams, è stato più o meno: è simile a X-Files. E non gli si può dare torto. In fondo c’è una bella agente dell’FBI, un affascinante compagno di avventure che - non è dell’FBI, ma viene cooptato dall’agenzia governativa. Ci sono misteri ai limiti della scienza, anzi della parascienza. C’è una multinazionale che cospira contro tutti. Insomma, effettivamente gli ingredienti sembrano proprio quelli, ma a rifletterci meglio, sono in realtà vari i serial che hanno alcuni di questi ingredienti. Scopriamo, dunque, chi sono gli antenati di Fringe, senza dimenticare proprio X-Files.
Uno dei punti di riferimento del serial, per ammissione dello stesso Abrams, che ha scritto la serie insieme ai fedeli Alex Kurtzman e Roberto Orci, è stato Ai Confini della Realtà, l’omnibus televisivo del fantastico degli anni Cinquanta creato da Rod Serling. Un serial che non può non essere un modello per chiunque voglia fare televisione fantascientifica e fantastica.
I telespettatori di tutto il mondo presero dimestichezza con storie di bizzarri alieni invasori, paradossi spazio-temporali, robot dalle sembianze umane e così via. Ai Confini della Realtà (decisamente azzeccata la “traduzione” italiana dell’originale titolo americano) costituì un basilare viatico alla fantascienza per tanti ragazzi dell’epoca (la serie giunse in Italia nel 1962), alla pari di riviste, romanzi o pellicole cinematografiche. Del resto la sua impostazione - composta di episodi autoconclusivi scritti da diversi autori - non era dissimile da quella dei famosi pulp-magazines degli anni Trenta, da Amazing Stories a Weird Tales. Così l’aveva progettata il suo ideatore, il newyorkese Serling, da sempre intenzionato a ricreare sul piccolo schermo il medesimo sense of wonder respirato nei racconti del Ray Bradbury di Cronache Marziane o del Jack Finney de L’invasione Degli Ultracorpi.
Una serie che può sembrare non in sintonia con Fringe, ma che in realtà ha alcuni elementi in comune è Agente Speciale (The Avengers, 1961), con protagonisti due agenti inglesi dei Servizi Segreti brittanici. John Steed (Patrik Mac Nee) è un impeccabile agente in tenuta da gentleman: bombetta, ombrello chiuso, abito fatto su misura. A seguito di un banale tamponamento automobilistico si imbatte nell’affascinante e disinvolta Emma Peel (Diana Rigg). La Signora Peel, esperta in arti marziali e moglie di un pilota dato per disperso in Amazzonia, desidera evadere dal tran tram quotidiano ed accetta di accompagnare Steed nelle sue incredibili missioni. Il loro sodalizio li trascinerà in avventure sempre più pericolose e surreali: cibernauti assassini, macchine del tempo, serial killer dal mondo dei fumetti, dischi volanti, scienziati pazzi di tutti i generi e categorie.
The Avengers va di sicuro inserito fra i dieci serial più memorabili degli Anni Sessanta: una stuzzicante full immersion in atmosfere made in England debitrici dei film di James Bond ma, al tempo stesso, eccentriche e surreali ai limiti della psichedelia. Da antologia le carismatiche performance di Mac Nee, affiancato da splendide partner avvicendatesi nel corso degli anni (Honor Blackman, Linda Thorson e, innanzitutto, Diana Rigg). Il telefilm, scritto e realizzato da mostri sacri della tv inglese come Brian Clemens ed Albert Fennell, conquistò i telespettatori d’Oltre Manica al punto di decretarne il successo per ben otto stagioni a partire dal 1961. Merito di plot e ambientazioni dal contenuto gradevolmente eterogeneo, in grado di triturare con abilità fantascienza e spionaggio, thriller ed abbondanti dosi di humor. Fra le guest star della serie: i leggendari Christopher Lee e Peter Cushing dei film Hammer, nonché il Michael Gough dei burtoniani Batman e Sleepy Hollow.
Altra serie che vede protagonisti degli agenti un po’ speciali è Zaffiro e Acciaio (Sapphire and Steel, 1977), con protagonisti Joanna Lumley, star de Gli Infallibili tre, e David McCallum, co-protagonista de L’Uomo dell’U.N.C.L.E..Zaffiro (Lumley) e Acciaio (McCallum) sono i nomi in codice degli agenti alieni protagonisti di questa originale produzione inglese; i due “poliziotti dell’Impossibile” si troveranno, lungo tutta la serie, a dover affrontare casi soprannaturali di ogni sorta.Vent’anni prima di X-Files, uno show denso di eccentrici misteri e paradossi spazio-temporali, ideato da Peter J.Hammond. Il telefilm fu trasmesso brevemente anche dalla Rai.
Di sicuro queste serie possono essere annoverate come antesignani del più cupo X-Files, partorito dalla mente di Chris Carter negli anni Novanta.
Anche qui siamo alle prese con due agenti, questa volta del’FBI, Fox Mulder (David Duchovny) e Dana Scully (Gillian Anderson) che si ritrovano ad indagare fianco a fianco per “ordini superiori”. Lui è un solerte studioso di fenomeni occulti (“spettrale” è il soprannome che gli hanno affibbiato i colleghi). Lei una fedele osservante dei dogmi della Dea Ragione. Entrambi, però, dovranno confrontarsi con inquietanti omicidi ed un rapimento di matrice extraterrestre. Da quel momento le loro vite finiranno segnate per sempre dall’ossessione per l’Ignoto e dalla ricerca della Verità.
Trasmesso negli stati Uniti per la prima volta il 10 settembre del 1993 e giunto, quasi un anno dopo, sui nostri teleschermi di Canale 5, X-Files ha restituito agli spettatori di mezzo mondo il gusto di quel mistery drama che molti davano per sprofondato nella palude di quiz, varietà, talk show tutti gravitanti nell’odierna televisione generalista. Un sincero plauso al suo ideatore, il californiano Carter, capace di pianificare ed imporre le proprie scelte ad un colosso dell’Entertainment come la Twentieth Century Fox: dall’indicazione dei due attori protagonisti al sapiente dosaggio di effetti speciali (non risparmiando momenti ed immagini di straordinario spettacolo) fino alla costituzione di uno staff affiatato, composto da bravi sceneggiatori come Howard Gordon, Alex Gansa, la coppia Glen Morgan e James Wong (messasi per breve tempo in proprio con Space: Above & Beyond), registi affidabili come David Nutter (i migliori episodi della prima serie portano la sua firma), scenografi e fotografi (Graeme Murray e John Bartley) in completa sintonia con l’atmosfera irreale e sulfurea del programma; una singolare colonna sonora (Mark Snow) e la “magia” finale del Dipartimento Costruzioni diretto da Rob Maier, in grado di allestire dal nulla interi set. Un organico funzionale come una buona squadra di calcio, in gradi di potenziarsi con pochi buoni acquisti (il regista/producer Rob Bowman, ad esempio) e con l’ottimizzazione di risorse umane e finanziarie a propria disposizione.
In definitiva, la miglior serie di speculative fiction mai realizzata in quest’ultimo decennio. I suoi personaggi, anche quelli di contorno (dall’odiosissimo Krycek al temibile Uomo che Fuma, dal vice-direttore Skinner agli impagabili Guerrieri Solitari), formano una galleria di caratteri non banali ma comunque riconoscibili. Numerosi i cameo di grandi star della science fiction (il Roy Thinnes de Gli Invasori, il Peter Boyle di Frankeinstein Junior, il Brad Dourif di Dune etc). Un successo che non ha smesso di irradiarsi nell’etere anche dopo la presunta “uscita di scena” di Mulder (anche lui rapito dagli alieni) e la sua sostituzione con l’agente (il Robert Patrick di Terminator 2: il Giorno del Giudizio).
Infine, il telefilm PSI Factor – trasmesso tra il 1996 ed il 2000 - mescolava le atmosfere di Ai Confini della Realtà e di X-Files; del primo prende il modello di serial antologico, senza protagonisti fissi; del secondo il tema centrale, ossia l’investigazione di fenomeni paranormali: tutte le puntate trattano di fatti inspiegabili che avvengono in natura, leggende metropolitane e casi al limite della fantascienza dovuti a capacità extrasensoriali ESP di alcuni individui. A fare da cicerone e da trait d’union ai vari episodi era un bravo Dan Aykroyd, che era anche coautore del telefilm.
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