Valerio Evangelisti
C’è chi sostiene che la fantascienza sia, nel suo insieme, una narrativa “di idee”, in cui la psicologia dei personaggi abbia valore minimo o nullo. In libri come Cristalli sognanti e Nascita del superuomo, Theodore Sturgeon ha dimostrato, con un’intera galleria di caratteri complessi, a volte persino struggenti, come ciò non sia sempre vero. La SF, nella sua accezione, descriveva gli effetti dell’innovazione tecnologica su uomini in carne e ossa, con una particolare attenzione per i più indifesi.
Non si può dire che la sua lezione sia stata fatta propria da molti, e le attuali evoluzioni della fantascienza non lasciano presagire che ciò avverrà tanto presto. Eppure Sturgeon, con la sua visione umanistica, fu il più significativo punto di contatto tra SF e “grande” letteratura.
Alessandro Fambrini
Sturgeon è stato tra le mie prime letture adolescenziali, quasi infantili, e uno dei romanzi che hanno segnato di più il delinearsi della mia passione fantascientifica in quegli anni, e più in generale la mia formazione (non dev’essere un caso che uno degli argomenti che hanno segnato il mio percorso di critico “adulto” sia stato il motivo del circo nella letteratura), fu Cristalli sognanti, nella ristampa della serie “bis” di Urania. Altri incontri avrebbero poi seguito, altre impressioni forti e altre proiezioni in personaggi simili, di outsider, spesso anch’essi giovanissimi come in Nascita del superuomo o sognatori eccentrici e incompresi come nella lunga scia dei racconti post-campbelliani di Sturgeon degli anni Cinquanta: ma mi veniva facile identificarmi con il protagonista Horty, come me poco più di un bambino, e palpitare per le sue avventure di cui intuivo più che capire i risvolti cupi, dolenti, le implicazioni morbose. Queste implicazioni sono state invece predominanti in una lettura più recente, che non mi ha deluso: questa volta la mia immagine del romanzo si è ricomposta sullo sfondo di un mondo stravolto, come distorto dalla prospettiva prismatica dei cristalli che portano fuori di metafora l’alienità di chi è diverso per sensibilità, genere, appartenenza. Un mondo che nel tempo ho imparato a conoscere come profondamente sturgeoniano. È forse banale, ma quello della diversità, motivo connaturato filogeneticamente alla fantascienza, appare il territorio sul quale Sturgeon si muove con maggiore disinvoltura, forse è anzi l’unico territorio che conosce, mentre altrove, nella realtà appiattente e condivisa, si sente fuori luogo. Da qui il senso di esaltazione dell’eccentrico, del deviante, dello speciale, che percorre le sue pagine e potrebbe anche essere pericoloso se non fosse svolto con la consapevolezza dolente della necessità della tolleranza.
Tra tutti i testi di Sturgeon, in definitiva, quello che mi sembra rappresentarlo meglio è la strofa di una breve poesia del 1940, Look about you!, quando il Wonderland di cui si parla era ancora una speranza, venata d’inquietudine, e ancora tutto da costruire: “We each live in a Wonderland / A blue to you is a red to me, / A shade is seen, and we call it green – / I wonder what you see?”. Ne offro una mia traduzione (inconsapevole), in un testo che scrissi più o meno quando lessi per la prima volta Cristalli sognanti, ben prima di sapere chi fosse Sturgeon e che cosa rappresentasse per la fantascienza: “Io vedo un’ombra e dici: marrone / Tu vedi un’ombra e dici: marrone / Ma è davvero la stessa ombra / Quella che noi vediamo?”
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