Comunque, in poche parole: quell’anno (1976) allo SFIR di Ferrara (le Con si chiamavano Science Fiction Round About) c’era come ospite Theodore Sturgeon (e anche John Brunner: erano tempi in cui le Con potevano vantare nomi di primissimo piano). Il sottoscritto condivideva con Eugenio (allora “Rocco”) Ragone una camera dell'albergo, e fu in quella camera che dopo cena decidemmo di far venire un po’ di gente della Con, e ovviamente anche Sturgeon. A Ferrara, ormai lo si sapeva, ogni anno nella stanza di Ragone e mia si faceva nottata.
Ho solo tre foto dell'evento. In esse purtroppo Sturgeon non c'è, perché le tre foto avevano esaurito la mia scorta poco prima che lui venisse. Ne allego una quarta con Brunner e Sturgeon, scattata però in altro momento. Fra i presenti nella camera: Vittorio Curtoni, Gianni Montanari, Riccardo Valla, ospiti stranieri di cui ora non rammento il nome, Gianfranco Viviani, Emilio De Marchi e consorte con altri organizzatori dello SFIR, Karel Thole. Per un po' di tempo si affacciarono Gianfranco de Turris, Sebastiano Fusco, Gian Filippo Pizzo, non so più chi altro. Era un viavai continuo man mano si spargeva la voce di Sturgeon nella nostra stanza; in pratica facemmo l’alba. E si continuava a bere. La gente entrava e si sedeva sui due letti o per terra, spalle al muro; la stanza era piccolina. Fu davvero una serata - anzi nottata - indimenticabile, vissuta intensamente in un'atmosfera impalpabile, ovattata, di assoluta irrealtà: a me - per esempio - appariva inverosimile trovarmi a due passi da uno Sturgeon in carne e ossa, un autore che fin dai miei 13 anni avevo imparato ad amare, anzi adorare, tramite Cristalli sognanti e racconti che giudicavo più che straordinari.
Il buon Ted aveva un'aria stanchissima, segnata e appariva un po’ triste. Benché si fosse mostrato piuttosto taciturno durante la Convention, si aprì e rispose sempre pacatamente, con gentilezza e in modo esaustivo alla pioggia di domande. Io mastico poco l'inglese e capivo una parola ogni cinque o dieci, in ogni caso ricavai che stava scrivendo un romanzo (non so quale) e questo lavoro lo stava estenuando.
È tutto, più o meno. Salvo il fatto che fu un’ennesima occasione per gareggiare a chi resisteva di più alla sbronza perpetua: fatica improba, perché nessuno batteva Karel Thole.
Gianfranco de Turris
Ho sempre ritenuto Sturgeon uno dei più grandi autori di fantascienza, e non solo, sicché non poteva mancare un suo titolo nelle collane che si dirigevano per il Fanucci degli anni Settanta, e poiché è stato un grande soprattutto nelle storie brevi si tradusse una antologia di racconti (La stirpe di Giapeto), proprio quelli che gli altri editori ignoravano. Sapeva conciliare una visione umanistica con le innovazioni futuribili, forse più di Simak e Bradbury, descrivendo come la tecnoscienza ci avrebbe cambiati in meglio e in peggio. Sturgeon è un autore che oggi, in piena crisi fantascientifica e dopo tante inutili sperimentazioni, si dovrebbe recuperare e riproporre a una generazione che probabilmente non lo ha mai letto. Ne rimarrebbe stupefatta ed entusiasta non solo per le idee ma anche per lo stile.
Giuseppe Lippi
A proposito di Sturgeon vorrei dire soltanto che i suoi migliori racconti erano la crème du genre, perché pur sempre di questo si trattava. Noi lo sappiamo bene: le cose migliori non appartengono né al mainstream e neppure alla "maniera" più accanita, ma a una sorta di élite dei generi che sembra costantemente sfuggire le loro regole eppure, creativamente, le reinventa. I capolavori di Sturgeon non sono letteratura realistica, flusso di coscienza o altro, ma narrativa fantastica ambientata in provincia, un mondo d'ingenuità e solitudine. Il suo regno è interiore: sembra svolgersi tra distese sconfinate o addirittura nello spazio, mentre in realtà è un sogno che genera e si ripercuote tra le pareti più intime. Non è stato uno scrittore sentimentale, anche se qualche volta ha corso questo rischio, ma uno di quegli autori che sanno rappresentare i propri sentimenti, animandoli come a teatro. Nella narrativa popolare d'oggi si preferisce fare sfoggio di stati d'animo prefabbricati quando non di slogan politicamente accettati, perché ha vinto l'insistenza della persuasione mediatica. Negli anni Quaranta e Cinquanta il mondo in cui viviamo stava ancora prendendo forma e si poteva inventarlo, non carosellizzarlo.
I frutti migliori della produzione sturgeoniana mi sono sempre parsi i più semplici: Cristalli sognanti che fa della metafisica accessibile a tutti, Killdozer! che inventa un'etichetta geniale per il bulldozer demoniaco, Il lettore di cimiteri, L'altra Celia e le indimenticabili Mani di Bianca, tutti racconti agghiaccianti. A volte venivano dissepolti tra le pagine di riviste che non c'entravano nulla, e il piacere era tanto maggiore quanto più scialbo l’insieme a cui Sturgeon veniva sottratto.
Col passare degli anni il nostro cominciò a girare per convention, venne anche in Italia e alcuni di noi lo incontrarono a Ferrara nel 1976. Era un signore alto, molto magro, con i capelli biondo-cenere alla Gesù che quasi gli toccavano le spalle e il pizzetto sempre biondo-cenere che ricordava quello di Buffalo Bill. Se volete sapere come aveva le braccia, erano lisce e di un tenue colore abbronzato, con le mezze maniche ben sopra l'incavo del gomito. Aveva gli occhi chiarissimi, azzurri, e un’aria gentile ma non spaurita di fronte ai critici del tempo che lo prendevano d'assalto. Lo accompagnava una ragazza bionda bellissima, sorta di procace figlia dei fiori. Ricordo che lo isolarono in una camera d'albergo per fargli il terzo grado (l’intervista uscì mesi dopo in un volume Fanucci, La stirpe di Giapeto). Sturgeon non era certo un critico; rispondeva alle domande, guardava i taccuini zeppi di schemi e date degli intervistatori, ma rimaneva al suo posto e con mani invisibili continuava a impastare l'argilla, ricordando di essere un artigiano.
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