Noir è fantascienza sono due generi letterari apparentemente separati, ma in realtà dotati di notevole affinità, tanto che è molto difficile porre una linea di confine tra i due. I romanzi fantascientifici che hanno alla base della loro trama un’indagine o un delitto, e che hanno mutuato tecniche e atmosfere del “crime novel”, sono talmente numerosi che è impossibile stilare un elenco completo anche solo dei principali. Questo rapporto si è fatto anche più stretto a mano a mano che la fantascienza ha raggiunto la sua maturità. Non a caso uno dei suoi autori più celebrati, Philip K. Dick, ha spesso sfruttato le atmosfere del noir come supporto per trame angosciose in cui la verità è destinata a sfuggire sempre ai protagonisti. Basti pensare a Do Androids Dream of Electric Sheep? (variamente titolato in Italia) e al film che ne è stato tratto, Blade Runner, che pescano entrambi a piene mani (il film ancora più del libro) dall’estetica dei romanzi “hard-boiled”. Ne è una filiazione quasi diretta il cyberpunk, sottogenere creato da William Gibson con il romanzo Neuromante. Qui l’illegalità è la norma, il potere delle grandi società è diventato arbitrio assoluto, e personaggi con rasoi letali nascosti sotto le unghie o capaci di penetrare con la mente in mondi virtuali vivono di espedienti tra le pieghe del sistema. Uno scenario che è rapidamente diventato cliché, indebolendo forse definitivamente il confine tra i due generi letterari. Forse il libro che più di tutti sottolinea la parentela è, fin dal titolo, Noir di K. W. Jeter, cupo romanzo di impronta cyberpunk che non solo utilizza consapevolmente tutti gli stereotipi del film noir, dal detective privato alla femme fatale, ma addirittura ne assume anche l’aspetto “visivo”: il protagonista, costretto a sostituire i propri occhi con economiche protesi monocromatiche, vede il mondo in uno sbiadito bianco e nero come se vivesse in un film con Humphrey Bogart.
Deelitti impossibili
La tecnologia del futuro pone, ovviamente, molte difficoltà alla criminalità. In effetti già oggi, grazie a prove del DNA, Luminol e altre meraviglie tecnologiche, dovrebbe essere molto difficile riuscire a uccidere senza farsi scoprire, eppure i delitti avvengono in abbondanza, anche quelli insoluti. Si arriverà a poter accertare sempre e comunque la verità? Secondo la fantascienza, l’ingegnosità dei criminali andrà di pari passo con la tecnologia. Per esempio in L’uomo disintegrato, il capolavoro di Alfred Bester, un magnate riesce a cimentarsi in un’impresa apparentemente impossibile: commettere un delitto in un mondo in cui, essendo la telepatia molto diffusa, chiunque può leggerti nel pensiero. Del resto, in futuro lo stesso concetto di delitto diventa sfumato. Molti autori hanno ipotizzato che in futuro diventi possibile registrare il contenuto della propria mente, allontanando la possibilità di una permanente morte fisica. Proprio in Bay City di Richard Morgan, per esempio, al detective Takeshi Kovacs viene chiesto di indagare sull’omicidio di un uomo che è stato subito reintegrato in un nuovo corpo. Non lo si può nemmeno considerare un delitto, e infatti la polizia non vi dedica molta attenzione. Ma proprio in un omicidio così apparentemente insensato sta la chiave di un complicato mistero.Tuttavia, una simile tecnologia non fa che creare una nuova tipologia di delitto, non più contro la persona fisica, bensì contro la sua registrazione digitale. Nel racconto Un rapimento, tratto dall’antologia Axiomatic, l’australiano Greg Egan ipotizza che, invece che rapire la moglie di un personaggio facoltoso, i criminali si limitino a impadronirsi della registrazione della sua mente. La vittima pagherà il riscatto per evitare che i ricattatori creino un duplicato virtuale della moglie cui far patire una prigionia infinita. E Furto di identità di Robert Sawyer è basato sull’inquietante interrogativo: in un mondo in cui è possibile riversare qualsiasi mente in un corpo artificiale, come sappiamo che il nostro interlocutore sia colui che dice di essere?
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