La scena britannica è da sempre un serbatoio di talenti per la fantascienza, un crogiuolo prolifico in grado di esprimere nei decenni maestri del calibro di Olaf Stapledon, Arthur C. Clarke, Brian Aldiss, James G. Ballard, Michael Moorcock, John Brunner, Ian Watson, M. John Harrison, Iain M. Banks. Dalla terra di H.G. Wells è anche partita una delle iniziative di rinnovamento più importanti nella storia del genere, la New Wave che dominò la scena tra gli anni Sessanta e Settanta. Non stupisce quindi se proprio qui hanno attecchito di recente i semi delle visioni post-cyberpunk, germogliando nel cosiddetto filone postumanista. Tra gli autori più interessanti emersi negli ultimi anni, accanto a Ian McDonald, Ken MacLeod e ai più recenti Charles Stross e Alastair Reynolds, figura il nome di Richard K. Morgan.
Trapiantato da diversi anni a Glasgow, Morgan sembra avere risentito positivamente del clima di rivoluzione che si è andato progressivamente addensando nella fantascienza scozzese. Sulla scia di veterani del calibro di Banks e MacLeod è fiorita proprio in Scozia la nuova avanguardia del genere, a cui hanno dato forte impulso le visioni di un altro autore immigrato dal sud come Charlie Stross. Per convergenza di tempi e di immaginario, la prolifica stagione che si è così inaugurata alle pendici delle Highlands non ha nulla da invidiare alla precedente ondata cyberpunk, della quale, tutto sommato, pur nella sua autonomia rappresenta un’emanazione. Nel coacervo di autori che stanno venendo fuori, alimentando con le loro opere le proiezioni immaginifiche più audaci sul futuro della nostra civiltà e della nostra specie, Morgan ha il merito di aver saputo esprimere una voce personalissima, a suo agio nella contaminazione con altri generi ma in fondo di matrice fieramente fantascientifica. Se fosse pensabile una polarizzazione dell’attuale situazione del genere, molto probabilmente Stross finirebbe per essere situato dai più in prossimità di un estremo elitario, in virtù della sua propensione allo sperimentalismo, della densità della sua scrittura e della sua radicale compenetrazione di linguaggi e gerghi settoriali; all’estremo opposto si collocherebbe invece Morgan, con la sua spiccata vocazione popolare in grado di rinverdire le radici di un genere che, col tempo, ha finito per distaccarsi sempre più dalle preferenze del grande pubblico.
Nato a Londra nel 1965, Morgan è cresciuto a Norwick, dov’è rimasto fino all’età di vent’anni. Si è laureato nel 1987 a Cambridge e poi è vissuto insegnando inglese per 14 anni, dapprima in Turchia e Spagna, e infine in Scozia.
Dopo essersi visto respingere numerosi racconti e i primi tentativi di romanzo da diversi editori, nel 2002 si impone all’attenzione della critica e del grande pubblico con il suo romanzo d’esordio, Altered Carbon (da noi pubblicato come Bay City dall’Editrice Nord, nella traduzione di Vittorio Curtoni), un noir futuristico premiato nel 2003 con il prestigioso Philip K. Dick Award. Atmosfere decadenti su scala interplanetaria fanno da sfondo al cupo affresco di una società umana futuribile, delineata con un taglio hard-boiled incisivo e graffiante. Takeshi Lev Kovacs è un reduce del Corpo di Spedizione: la cruenta disfatta di Sharya cova ancora sotto la cenere del suo spirito digitalizzato quando si ritrova suo malgrado coinvolto in una complessa indagine sulla vecchia Terra. Politica, guerra e fondamentalismi vari, dal fanatismo terrorista islamico all'integralismo (anti)bioetico cattolico, si confondono nella girandola degli eventi: Morgan, attraverso la voce del suo protagonista, non risparmia nessuno. È il tono “moraleggiante” di Kovacs a evocare maggiormente l’insegnamento di Raymond Chandler, peraltro richiamato direttamente nel nome di Bay City, come l’immaginaria Santa Monica che faceva da sfondo alle investigazioni dell'intramontabile Philip Marlowe. Ma non di rado capita di vedere riaffiorare nella violenza delle situazioni e della scrittura il modello di Dashiell Hammett.
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