Simulacri del futuro: il giovane Kovacs, l’ombra di Quellcrist

In un mondo in cui i corpi sono ridotti a involucri e le coscienze vengono tradotte in nubi quantistiche e trascritte in dispositivi elettronici, il tema del doppelgänger si ripresenta con gli aggiustamenti del caso.Kovacs, l’uomo geloso della propria indipendenza e individualità, che ha deciso di esiliarsi dalla società umana e dai suoi vincoli per seguire un proprio giri personale (e non è un caso che verso le pagine finali del romanzo si guadagni l’appellativo di ronin, pronunciato con tono offensivo da uno yakuza), si trova a fare i conti con un secondo se stesso, un back-up illegale realizzato come contromisura estrema dai servizi di sicurezza della famiglia Harlan. Qualcosa di simile era già successo in Bay City, ma la situazione viene ora declinata secondo una logica conflittuale.

Anche lo scontro tra Kovacs e il suo doppio scivola tuttavia in secondo piano di fronte al conflitto che si gioca a livello più alto sopra le teste della popolazione intera di Harlan’s World. La partita politica coinvolge una società planetaria e il suo destino, potrebbe ripercuotersi in ogni angolo del Protettorato (di qui il coinvolgimento del Corpo di Spedizione) e ha il suo fulcro in un fantasma emerso dalle nebbie del tempo. Un residuo di Quellcrist, o forse una sua copia virtuale, o addirittura – come vogliono credere i suoi seguaci – la stessa Quellcrist richiamata da un limbo elettronico: sarà lei a fungere da catalizzatore per gli eventi.

La storia personale di Kovacs e quella globale di Harlan’s World scorrono parallele, ma entrambe hanno un comune punto di svolta. Il ruolo chiave in questo snodo è rappresentato da Quellcrist Falconer. È lei a stimolare la riflessione di Kovacs sul mondo e sulla storia, in un percorso critico che abbiamo visto cominciare fin dal suo approdo sulla Terra. E adesso che finalmente gli si presenta l’opportunità di dialogare direttamente con lei, o con il simulacro che resta di lei ma in cui tutti si convincono di vedere l’antico comandante (ovvero l’incarnazione di un ideale astratto), Kovacs non se la lascia scappare.

Il dialogo tra i due sembra poter funzionare solo a un livello viscerale, istintivo, animale, quando a essere coinvolte sono le funzioni primarie. È Kovacs stesso a richiamare involontariamente in superficie la coscienza di Quellcrist dal suo rifugio elettronico nella testa di Sylvie Oshima, leader di una cellula di disAt. Una rivoluzionaria, dentro una mercenaria. Un gioco di scatole cinesi come si rivela essere anche l’arma definitiva dell’offensiva quellista, il cosiddetto Protocollo Qualgrist che porta Kovacs a interrogarsi sulla legittimità dei metodi e sull’importanza della libertà di scelta. La questione non è più se il fine giustifichi i mezzi, ma resta comunque machiavellica: preso atto della narcotizzazione delle coscienze operata da secoli di egemonia e controllo, ha ancora senso anteporre l’ideale del libero arbitrio a un sogno di libertà collettiva?

Morgan si guarda bene dall’imporre una risposta. Tutta la sua opera, dopotutto, è una splendida costruzione letteraria che serve ad alimentare il dubbio, spingendo il lettore a porsi delle domande dai paralleli che emergono lampanti tra l’universo futuro di Kovacs e il nostro mondo attuale. Ma offre una possibile via di fuga dall’empasse, suggerendo che forse uno dei modi per superare la questione è quello di superare una volta per tutte i retaggi della condizione umana. Quello che potrebbe significare la transizione, tuttavia, resta avvolto in un mistero che non è certo immune da rischi e minacce, che potrebbero rivelarsi addirittura peggiori.

Verso la rivoluzione

Se Bay City era la storia di una guerra privata (come insegna la massima quellista, “mettetela sul piano personale”) che si elevava a un orizzonte globale e Angeli Spezzati era la storia della guerra globale che invadeva il piano cosmico, Il ritorno delle furie è una storia di rivoluzioni, private, personali e collettive.La rabbia che sostiene la furia di Kovacs non è dopotutto di matrice diversa rispetto a quella che alimenta la furia quellista. Il nichilismo del cavaliere solitario può trovare un rimedio in una rivoluzione di portata globale. A un certo punto, la donna che crede di essere Quellcrist ha uno scambio di vedute con Tak e lo apostrofa con queste parole: “L’odio per te stesso ti è utile perché puoi incanalarlo nella rabbia che scarichi sui vari bersagli di distruzione. Però è un modello statico, Kovacs. È una scultura di disperazione”.

È un insegnamento che lo costringe ad aprire gli occhi sul proprio passato (e sui suoi errori) e sui futuri possibili, per questo Kovacs arriva ad appropriarsene, rimasticandolo durante l’estensione della storia fino ad assimilarlo. Ed è una lezione che ognuno di noi può far propria.