La PDP, Polizia Della Privacy, mi ammanettò e fui trascinato davanti al Giudice Permanente. Non mi resi del tutto conto di quello che accadde in sèguito. La mia testa era un balenare di fiamme. Il dolore martellante non mi dava un attimo di tregua e le strazianti palpitazioni offuscavano i pensieri.Ricordo che fui portato in un’aula spoglia. Dietro ad una cattedra, stava seduto una specie di pupazzo a mezzo busto con tutte le caratteristiche di un magistrato, toga, parrucca, sguardo severo. Dal simulacro usciva una voce ferma e tonante che incuteva timore.Ascoltai i capi d’accusa in uno stato confusionale. L’aggressione nei confronti del medico era il reato meno grave se rapportato all’avere volontariamente infranto il primo articolo della Legge Federale: il diritto d’immagine. Nessuno poteva svelare il volto di una persona se non espressamente concesso dall’interessato, specialmente se riguardava un medico. Tutto doveva restare anonimo. L’Ordine Professionale proteggeva i suoi iscritti come una premurosa chioccia, partendo dal presupposto che i medici specialisti erano considerati al medesimo livello. Quindi intercambiabili. Solo la PDP era sollevata dalla norma, in quanto garante della sicurezza.
Mi condannarono a quindici giorni di lavoro coatto da scontare in un Istituto Pubblico. Inoltre, venne cancellato il mio diritto alla privacy per l’intero periodo della pena.
Debbo riconoscere che il giudice fu molto comprensivo della mia condizione, così mi spedirono all’Ospedale Regionale in qualità di inserviente generico. E questo fu l’espediente di quel sagace magistrato.
All’Istituto, dopo avermi imbottito di anestesia da far addormentare un elefante, mi tolsero il dente senza tante storie.
In fin dei conti, anche il dentista era un detenuto.
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