- Mi spiace – rispose. – Secondo i termini della Legga Federale sulla Privacy, articolo settantacinque, comma ventiquattro, è mio diritto rifiutare la divulgazione del mio livello deontologico. Se lo desidera, può sempre rivolgersi all’Ordine dei Medici e chiedere…Cominciavo a scocciarmi di tutta quella storia. Agitai una mano in segno di diniego. Mi veniva voglia di comportarmi come in quella vecchia barzelletta in cui il paziente afferrava i gioielli di famiglia del dentista e diceva: “Vediamo di non farci male”.

L’assistente, intanto, si era accostata alla poltrona.

- Tenga bene aperta la bocca. Ecco, così. Bravo. – E mi infilò la cannula dell’aspiratore tra la guancia e la gengiva, aggiungendo un scossa rovente al tormento.

Il medico sedette su uno sgabello imbottito accanto a me. Si curvò in avanti. Ero quasi certo che si sarebbe spezzato, ma non avvenne. Nel suo sguardo scuro, oltre gli occhiali, intravidi un’ombra di malumore. Forse la sera prima, la moglie o la ragazza non gli avevano dato lo zuccherino della buona notte? O, più probabilmente, ciò che vidi fu una scintilla di perversione?

Per un attimo scorsi la punta dello specillo luccicare. Lui lo ruotò e, senza preavviso, lo piantò in profondità nella gengiva.

Diedi un balzo, alzando contemporaneamente le braccia. Sonda, specchietto e aspiratore volarono in aria.

- Scusi – disse, ma ormai il peggio era fatto.

Mi tenni la parte sinistra del viso con tutte e due le mani. Un devastante terremoto mi arrivò fin dentro al cervello.

- Tua madre… - mugugnai accecato dal dolore. Avevo gli occhi pieni di lacrime e faticavo a respirare.

- Lei conosce mia madre? – chiese stupito.

- No, ma so il mestiere che fa. Se vuole glielo spiego.

Si accigliò. – Questa è una evidente violazione della privacy! – esclamò. – Lei non ha nessun titolo per mettere in piazza…

- Marciapiede – precisai. – La zona è il marciapiede.

In condizioni normali, mi ritengo un tipo pacifico. Quando occorre, sono anche capace di porgere l’altra guancia. Ma un dente è un’altra cosa.

A quel punto, ne avevo piene le tasche. Reagii d’impulso.

Con un guizzo di rabbia balzai in piedi e lo spinsi. Finimmo tutti e due a terra.

- Aiuto! – gridò lo smilzo.

- Voglio vedere la tua faccia da maniaco – sibilai, smanacciando e strappandogli occhiali e mascherina. – Solo una sbirciatina. Per ricordarmi di te, quando ti farò causa.

L’infermiera saltellava qui e là, emettendo grida a singhiozzo. Il suo seno ballonzolava indeciso se saltar fuori o restare ingabbiato. Miracolo. Restò al suo posto.

Travolto dalla mia stessa reazione, sommerso da stilettate di dolore, mi resi conto a malapena di venire afferrato per le spalle e immobilizzato.

Nonostante i miei sforzi, non riuscii a scoprire il volto del medico. Ormai, poco importava.